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Banche venete, vanno trovati i colpevoli oltre ai soldi

Banca Intesa ha intenzione di comprare due banche fallite, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, per un euro.

Speriamo sia la volta buona. Più di un anno fa il governo Renzi, il sistema politico, quello bancario, i super esperti ci avevano raccontato un’altra storia. All’epoca andava di moda il Fondo Atlante, le cui casse erano state riempite dal sistema bancario e da enti parapubblici, tipo fondazioni e Cdp.

Il fondo avrebbe dovuto salvare il sistema bancario italiano: il suo capo ci aveva promesso una ristrutturazione della popolare vicentina in diciotto mesi. Boom.

Gli è andata male. Grazie a 3,5 miliardi di euro è diventato azionista delle due banche scassate. Ma dopo poco più di un anno evidentemente si può dire che nulla è stato fatto: i due istituti si sono fagocitati i 3,5 miliardi e si riparte daccapo, chiedendo a Intesa di prendersi la patata bollente ad un euro.

Prima conclusione: l’intervento di Atlante ci ha fatto perdere tempo prezioso e al sistema bancario un bel po’ di miliardi.

Adesso è il turno di Intesa. L’affare per Carlo Messina, numero uno della banca, non è scontato. Vuole comprarsi le banche venete completamente pulite. È esattamente quanto ha recentemente fatto Ubi, sempre pagando un euro, nel rilevare la famigerata Etruria, Marche e Chieti.

Ma a differenza di Ubi (che peraltro nel mazzo aveva una banca, quella di Chieti, di nuovo in utile), Messina deve augurarsi che la politica non faccia scherzi.

Se il paragone ci è permesso: Intesa non ha ancora sposato le banche venete, ma le ha messe in «stato interessante». Sfilarsi non sarà facile. E quell’euro su cui qualcuno ironizza presuppone una componente di rischio da non sottovalutare. Anche se la suocera, cioè il Tesoro, non fornirà la dote promessa.

Le casse pubbliche infatti dovranno sopportare perdite che vanno dai 10 ai 12 miliardi, in funzione di come riescono a trattare con Intesa.

Le casse pubbliche dovranno sopportare perdite

Seconda conclusione. Per risolvere un bel pasticcio realizzato dalle banche, la politica ha trovato la soluzione peggiore, la meno coraggiosa. Poi ha dovuto chiedere alle stesse banche di fare pulizia. Ma il conto verrà pagato dai contribuenti.

Ci troviamo in una situazione paradossale in cui c’è da augurarsi che Intesa paghi il suo euro e il Tesoro, cioè noi, si accolli una decina di miliardi di perdite.

Ci si permetta almeno di dire che la ricerca di un colpevole, o più colpevoli, non è assecondare una pulsione populista, come si dice oggi, ma soddisfare il minimo senso di giustizia da parte di coloro che si siedono al tavolo, pagano un conto favoloso, e mangiano da cani (cioè male).

Nicola Porro, Il Giornale 25 giugno 2017

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