Biblioteca liberale

Me tapiro. Antonio Ricci intercettato da Luigi Galella (Antonio Ricci)

Antonio Ricci tecnicamente e volgarmente si può definire uno stronzo. Per questa sua qualità ha avuto il successo televisivo che merita. C’è chi lo ricorda per Fantastico, chi per i Te li do io… del suo amico di parrocchia Beppe Grillo, altri per il capolavoro Drive In, il pulp fiction delle tette in tv.

Ma il suo capolavoro, l’essenza della sua favolosa stronzaggine, è Striscia la Notizia. Leggendo Me tapiro. Antonio Ricci intercettato da Luigi Galella (Mondadori) si capisce molto. Ricci spogliava Beppe, lo metteva in mutandoni e gli faceva gridare «Samurai kamikaze» negli alberghi giapponesi, con l’intento di farsi uno sberleffo degli americani bamboloni.

Mandava a quell’intellò di Giletti finte poesie di Montale sull’emerocallo da recitare in tv. Fece licenziare, per qualche ora, Dorelli da Finalmente venerdì e non è detto sia vero l’aneddoto di un Eco ubriaco che rovina con Ricci fuori da un bar.

In Me tapiro si capisce bene perché la stronzaggine di Ricci sia una decisiva componente del successo di Striscia.

Non ci si può fidare di lui, ma per uno scherzo, un’idea, un progetto, una denuncia potrebbe mettere in gioco tutto ciò che ha conquistato. Non molla un centimetro del suo terreno. Non è generoso.

Combatte come un leone. Ha una qualità che pochi giornalisti hanno. Gli sfugge tra le righe: «quando mi danno dell’inveterato goliarda, mi adombro. Io non faccio gli scherzi, non me la prendo con i più deboli, calandogli le braghe per spazzolargli le chiappe con lucido da scarpe».

Vabbè poi esagera e dice «faccio ricerche sociologiche».

Resta il punto: Striscia e Ricci sono democraticamente e simpaticamente stronzi. È la loro forza, la loro credibilità. Il tapiro è come Il Trono di Spade, difficile da conquistare e mantenere in eterno.

Ricci è il nero, Fazio è il rosso. E del conduttore della Rai, scrive: «martiri vergini, che del vittimismo avevano fatto una fonte di reddito».

«Se non sei un mostro non esisti» dice riguardo le star tv.

E a modo suo è un mostro, come lo era Cuccia, rincorso invano proprio da lui (poi si sentirono al telefono per parlare di Carige): entrambi hanno dominato la scena, senza comparire. La cultura, l’ambiente di Ricci non sono quelli di un liberale.

Ma il suo anarchismo ci affascina.

In Me tapiro cita Popper: «è vera civiltà quella che è in grado di far morire le nostre idee al nostro posto». E, geniale, bastona il Popper da fumetti, l’unico che conoscono a Repubblica, quello di Cattiva maestra televisione: «Per me la tv non può essere maestra, nemmeno cattiva maestra, di un bel niente: è casomai l’allievo che sta tenendo il libro al contrario».

Alzi la mano chi ha sentito una frase più liberale girare nel clubbino del trombonismo tv. Comprate pure Me tapiro, tanto Ricci non ci fa una lira, e capirete perché per fare buona informazione essere stronzi non è indispensabile, ma aiuta.

Ps Sappiate che i prossimi fuori onda che andranno su Striscia riguardo al sottoscritto sono falsi e girati da un attore. 

Nicola Porro, Il Giornale 19 novembre 2017

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