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Come cambia la comunicazione politica nell’epoca dei social network

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La radicale e rapida evoluzione del mondo dell’informazione negli ultimi anni ha fatto sì che le modalità di comunicazione e propaganda delle recenti campagne elettorali cambiassero in modo drastico per intercettare l’elettorato e riuscire a trasmettere messaggi funzionali alle esigenze dei partiti e dei leader politici.
Oggi la principale difficoltà per i partiti è attrarre, ancor prima del voto, l’attenzione delle nuove generazioni che tra mille input hanno una limitata capacità di ascolto e attenzione. In tal senso riuscire a trasmettere un messaggio e farlo arrivare al destinatario correttamente, presenta tre problematiche principali.
Ci sono troppe informazioni, viviamo in quella che Guy Debord definiva la società dello spettacolo, occorre perciò pianificare una comunicazione che tenga in considerazione alcuni aspetti.
Anzitutto comunicare in modo chiaro e diretto senza messaggi difficili, circonvoluti, complessi e soprattutto non esagerare con la frequenza delle comunicazioni perché il rischio è ottenere il risultato opposto a quello auspicato.
È inoltre necessario tenere in considerazione l’evoluzione dei mezzi di comunicazione avvenuta negli ultimi anni in particolare dei media tradizionali: i giornali hanno perso centralità e non sono più in grado di indirizzare l’opinione pubblica come in passato.
I problemi per i quotidiani sono sorti a partire dai primi anni 2000 quando ancora si vendevano copie, la pubblicità era ingente e iniziative come i libri o i gadget in allegato portavano un importante ritorno in termini di fatturato per gli editori. Il buono stato di salute del mercato giornalistico in quegli anni ha fatto sì che, con la nascita e la diffusione di internet, a partire dagli Stati Uniti e in seguito anche nel nostro paese, le notizie venissero pubblicate online gratuitamente.
Se in un primo periodo questa scelta non ha portato a particolari cambiamenti, con il passare degli anni tra i lettori si è diffusa la convinzione che le notizie non debbano essere pagate e sia possibile fruirne gratuitamente.
Una convinzione che, unita alla crisi economica, alla diffusione dei social network e delle nuove tecnologie, ha portato a un tracollo nelle vendite dei giornali.

Oggi il mondo dell’editoria si interroga su quali debbano essere le strategie da adottare per il futuro. I giornali, così come i libri di carta, non scompariranno – almeno non in tempi brevi – ma è evidente che dovranno cambiare il proprio modello e reinventarsi. La discrimine per il futuro è la qualità: i giornali devono offrire non notizie (che grazie ai internet, alla radio, alla tv sono immediate) bensì quello che c’è dietro le notizie, soffermandosi su analisi, commenti, inchieste; solo così potranno riacquisire la centralità perduta nel dibattito pubblico. Il lettore che compra un quotidiano lo fa perché vuole capire le motivazioni che hanno portato un evento a realizzarsi, sia esso un fatto di cronaca, di politica, di sport.
La redazione di un quotidiano, così come tutti i media tradizionali (anche le testate online registrate), ha l’importante funzione di filtro e il lettore, il telespettatore, l’ascoltatore, ricevono notizie in precedenza scremate e selezionate. Di per sé è una funzione positiva perché permette di eliminare notizie false, di scarsa importanza o superflue. Una redazione dovrebbe essere composta da professionisti che valutano in modo oggettivo l’importanza di una notizia e la coerenza con la linea editoriale della testata per cui lavorano e l’interesse per il lettore.
Il filtro diventa controproducente nel momento in cui i criteri di oggettività vengono meno e si realizza una selezione sulla base di altre logiche che non rispondono ai criteri già enunciati. Dietro la necessità di contrastare bufale e fake news, si cela la spada di Damocle del giornalista-censore che decide a sua discrezione quali notizie possono essere utili ai suoi fini e quali no.
Oggi il principale problema dei grandi media è l’utilizzo della funzione di filtro non per selezionare le notizie dalle bufale ma per mascherare ciò che è scomodo e non gradito, i mezzi di comunicazione non vogliono più presentare il mondo che ci circonda ma cercare di indirizzarlo. Il tentativo di riportare una verità parziale avviene in prevalenza in senso progressista; i media tradizionali sono principalmente editori, testate e giornalisti progressisti che riprendono la lezione dell’egemonia culturale di Gramsci per poi applicarla alla politica.

Nei social network, al contrario, manca un filtro, il messaggio arriva direttamente al fruitore senza la verifica di un giornalista.
I social network diventano perciò strategici nella comunicazione per il mondo politico-culturale liberale e conservatore che può sfruttarne le potenzialità ma al tempo stesso deve essere in grado di fare un passo ulteriore: realizzare prodotti editoriali – dalle riviste online alle pagine social, dalle riviste cartacee alle case editrici – che possano catturare l’attenzione dei lettori per i contenuti offerti.
In tal senso occorre fare autocritica: da questo punto di vista la cultura liberale e conservatrice è ancora molto indietro. Anche a livello locale la comunicazione politica può rivelarsi un boomerang con grafiche brutte, campagne elettorali invasive che portano a ottenere l’effetto contrario di quello cercato.
Concludendo, più che controinformazione oggi è necessario tornare a fare informazione offrendo ai cittadini gli strumenti per sviluppare una propria coscienza critica.

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