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L’antirazzismo di oggi ripudia i valori (americani e cristiani) di Martin Luther King

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Lo scorso 4 aprile quasi nessuno dei mass e social media (talora quasi maniacali nel segnalare anniversari relativi a personaggi pressoché sconosciuti) ha ricordato che cinquantatré anni prima, il 4 aprile del 1968, moriva assassinato a Memphis, Tennessee, colui che è stato al tempo stesso uno dei protagonisti della vita civile americana del Dopoguerra e una delle figure più importanti del cristianesimo contemporaneo: il pastore battista Martin Luther King jr. È vero che negli Stati Uniti si usa celebrare la ricorrenza della sua nascita, il 15 gennaio 1929 (giorno festivo istituito dal presidente Ronald Reagan nel 1983), ma resta il fatto che queste “dimenticanze” nel ricordare la tragica fine del grande paladino dei diritti civili dei neri sono il sintomo di una tendenza verso una sorta di “annacquamento” del suo pensiero e della sua predicazione politico-religiosa.

Anche se per ora nessuno è ancora giunto sino a porre in discussione il valore del suo impegno sociale e delle sue idee (ma con la mentalità oggi molto diffusa di rigetto nichilista del passato non mi meraviglierei se ciò prima o poi accadesse), molti degli esponenti del pensiero politicamente corretto che fanno dell’antirazzismo una delle loro bandiere considerano le sue concezioni “superate”, e inadatte a raggiungere l’obiettivo di un riequilibrio razziale “vendicativo” del passato, basato su una visione della storia occidentale, e americana in particolare, intesa come l’attuazione di un unico disegno criminoso verso i popoli di razza non europea.

Esistono anche per fortuna posizioni più moderate e più fondate dal punto di vista storico, ma spesso in base ad esse la figura di King viene viceversa quasi “dissolta” (paradossalmente) nel successo delle sue battaglie sui diritti civili che portarono al riconoscimento degli stessi nell’America degli anni ’60 e ’70 e all’apprezzamento universale della sua attività: si pensi al Nobel per la pace del 1964. In quest’ottica (peraltro rispettabile) alcuni affermano non del tutto a torto che King oggi è ricordato più come attivista politico che come esponente religioso, e ritengono che, come talora accade, la riuscita di molte della sue battaglie civili abbia finito per “banalizzare” le sue idee. Esistono però alcuni contenuti della predicazione politico-religiosa di King che rappresentano a mio avviso la base portante delle sue rivendicazioni dei diritti civili dei neri e che, nel momento in cui si banalizzano queste ultime (o come nelle posizioni politicamente corrette le si degradano a fasi imperfette e “superate” del progresso della “lotta razziale”), si rischia di perdere di vista, mentre ci sarebbe molto utili anche nella realtà di oggi.

Buona parte delle idee di Martin Luther King jr. sono condensate nel famoso discorso tenuto a Washington il 28 agosto 1963 in occasione della “marcia per il lavoro e la libertà” che riuniva tutte le organizzazioni promotrici dei diritti civili a sostegno di un progetto di legge del presidente John F. Kennedy diretto a vietare le segregazioni razziali nei luoghi di lavoro e in quelli aperti al pubblico (dai ristoranti agli autobus ecc.). Progetto poi approvato nel 1964 sotto il suo successore Lindon Johnson. Com’è noto il discorso fu tenuto davanti al Lincoln Memorial di Washington, oggetto peraltro di atti di vandalismo “antirazzista” nell’estate dell’anno passato, e si apre con il riferimento proprio ad Abraham Lincoln, considerato giustamente come uno dei più grandi difensori dei diritti dei neri (e non come un razzista mascherato, come fanno oggi molti attivisti estremi). E in un passo successivo viene citata la frase che apre la Dichiarazione di indipendenza americana dove si afferma la fede nella verità “autoevidente” che tutti gli uomini “sono stati creati eguali”, una frase dovuta com’è noto allo “schiavista” Thomas Jefferson, e a questa citazione King unisce la speranza che la società americana arrivi a vivere in maniera pienamente conforme a questo ideale. La sua predicazione e le sue battaglie per i diritti civili dei neri erano quindi profondamente radicate nella tradizione americana, che per lui rappresentava una realtà da migliorare, anzi da portare alla sua piena realizzazione e non certo da rifiutare o da condannare.

Vale la pena riportare uno dei brani più famosi del discorso di Washington che ci consente anche di cogliere alcuni dei valori fondamentali su cui si basavano le idee di King:

“I have a dream: that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character. My Lord, I have a dream today.”

(Io ho un sogno: che i miei quattro bambini vivranno un giorno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della loro pelle ma per il contenuto del loro carattere. Mio Signore, oggi io ho un sogno.)

Colpisce nella parte finale del brano riportato, il riferimento religioso, non sorprendente in sé tenendo conto che King era un ecclesiastico “di professione”, ma purtroppo inusuale oggi, dove troppo spesso, sempre a causa della mentalità nichilista che valuta in negativo tutte le realizzazioni della storia occidentale, i valori cristiani sono sentiti come “unilaterali” e in un certo senso “lesivi” del rispetto per le altre concezioni religiose o filosofiche, tanto che molto spesso gli stessi leader religiosi cristiani sembrano andare in cerca di “pezze d’appoggio” capaci di “legittimare” a livello universale le loro idee, quali le tesi dei teologi di altre religioni o le affermazioni degli attivisti ambientalisti e/o umanitari o dei promotori della “finanza responsabile”. Il discorso di King con la sua invocazione al Signore ricorda invece che i valori cristiani (e, aggiungo io, i valori occidentali laici da essi derivati) non hanno bisogno di pezze d’appoggio, dato che essi si rivolgono da sempre ai singoli individui e alle loro coscienze. È significativo il fatto che quando, nella parte successiva del discorso, King parla del valore universale dell’eguaglianza tra gli uomini, nel farlo riprende in sostanza una frase scritta quasi duemila anni prima da San Paolo il quale nella Lettera ai Galati (cap. 3, v. 28) afferma che in Cristo “non esiste più giudeo né greco, non esiste schiavo né libero…”.

Il valore della tradizione cristiana occidentale nel pensiero di King risalta ancora di più se si passa al cuore del brano che abbiamo citato, cioè all’oggetto del “sogno”, che gli uomini siano giudicati per il contenuto del loro carattere. In questa frase è riportata la più grande idea e la più grande realizzazione della nostra civiltà: l’individualismo non egoista ma aperto al confronto reciproco con gli altri, basato su principi e valori comuni. Si tratta di un valore che, pur con molte “deviazioni” e con molti passi indietro è emerso in maniera chiara nella bimillenaria storia del cristianesimo occidentale. Un valore che ha le sue radici nel citato passo di San Paolo, ed è stato portato avanti ad esempio da Sant’Agostino (per il quale ogni essere umano ha in sé una struttura spirituale trinitaria, immagine di quella divina), dall’iniziatore della riforma protestante Martin Lutero, di cui King (che, com’è noto, originariamente si chiamava Michael) assunse già da bambino il nome per iniziativa del padre, anche lui pastore battista, nonché in epoca moderna anche da pensatori “laici” legati a quei valori, come gli illuministi scozzesi e gli stessi padri costituenti americani.

Un individualismo che unisce in maniera indissolubile la libertà dei singoli con la responsabilità di ciascuno per il suo comportamento verso gli altri, un individualismo che porta a valorizzare le diversità tra gli uomini grazie al rispetto delle regole comuni, ben diverso dalla politica “identitaria” fatta propria da molti dei sostenitori politicamente corretti dei diritti umani, che invece inquadrano i singoli in gruppi (i neri, le donne, i transgender, i non occidentali, i vegani ecc.) e solo a questi ultimi riconoscono un valore, mentre le regole valide per tutti vengono sostituite dai rapporti (più o meno ambigui) di precedenza nella tutela tra i gruppi stessi, per cui i diritti delle donne cedono di fronte a quelli dei transgender; i diritti dei neri cedono fronte a quelli dei non occidentali ecc.

Infine, nel passo riportato compare un altro termine oggi quasi diventato sinonimo di male, quello di “nazione”, e questo (anche se a volte non è facile notarlo) ha un parallelo con quanto appena detto: alla negazione del valore dell’individuo corrisponde infatti quella del ruolo dello stato moderno, l’unica forma storica di società politica basata sugli individui e non sui gruppi. Stato moderno che è anch’esso un derivato delle concezioni cristiane (in particolare del diritto canonico medievale), e che non riesce ad affermarsi nelle società politiche non occidentali, certamente rispettabili, ma ancora oggi in larga misura basate sui gruppi tribali, religiosi, locali, di mestiere ecc. ai quali i singoli debbono di fatto (e spesso anche di diritto) obbedienza assoluta, e ciò anche quando in tali società sono presenti strutture formalmente simili a quelle dello stato occidentale.

Uno stato che alcuni vorrebbero “superare” in nome di gruppi di potere (politico e/o economico) più o meno “globali” guidati dalle strutture finanziarie e/o tecnocratiche, dai networks informatici mondiali o dalle organizzazioni più o meno “umanitarie”, che finirebbero come quelli tradizionali per asservire gli individui alla loro logica sostanzialmente collettivista, magari ripartendo i diritti e i privilegi dei singoli in base al grado di discriminazione (stabilito dall’alto) delle “identità” da tutelare.

Possiamo dire che Martin Luther King jr. – nonostante le critiche che si possono muovere ad alcune delle sue iniziative, quali le marce organizzate dei bambini, gli attacchi troppo duri e talora ingiustificati (anche se sempre non violenti) agli oppositori, nonché ai rappresentanti delle istituzioni politiche e giudiziarie statunitensi – rappresenta uno dei grandi punti di riferimento della tradizione spirituale e civile occidentale, uno di quegli “eroi” che si incaricano di migliorare la società in cui vivono, correggendo gli errori e le ingiustizie del passato senza rinnegarne gli aspetti positivi. Molto diverso da coloro che oggi disprezzano quella tradizione e in nome di una propria presunta superiorità morale vorrebbero realizzare un mondo fatto di gruppi di potere più o meno “globali” nel quale verrebbero a spegnersi o a ridursi a pure formalità sia la libertà individuale che la democrazia. Un mondo nel quale finirebbero per ripetersi (anche se magari in maniera meno cruenta, ma non per questo meno devastante) alcune delle aberrazioni umane e sociali realizzate dai regimi totalitari del XX secolo, un mondo nel quale il sogno di King non avrebbe più alcuna possibilità di realizzarsi.

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