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Le falsificazioni storiche e le strampalate tesi politiche di Scalfari per riscrivere l’esito del duello a sinistra

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L’editoriale agiografico su Berlinguer pubblicato domenica scorsa su la Repubblica da Eugenio Scalfari potrebbe e, forse, dovrebbe essere bollato come una fake news. L’infondatezza storica e politica delle sue tesi è imbarazzante. Scalfari, in una lunga e poco dotta analisi, sostiene che Berlinguer sia stato il fondatore della sinistra socialdemocratica e che sia stata “la persona che ha combattuto meglio di altre per modernizzare il Paese”. Non contento, arriva ad affermare che il Pd “è il depositario del comunismo democratico di Berlinguer innestato sul liberalismo di Francesco De Sanctis e di Benedetto Croce”.

Partiamo da quelle che Scalfari definisce le origini berlingueriane della socialdemocrazia italiana, per poi analizzare il folle accostamento tra il comunismo democratico e il liberalismo che dovrebbero convivere nell’odierno Pd.

La storia della sinistra comunista, come noto anche a chi non si intende di politica, non è mai stata una storia socialdemocratica. Da Togliatti fino a Occhetto, il termine socialdemocrazia rimase un vero e proprio tabù. Per Berlinguer, quella formula fu addirittura una sorta di etichetta infamante da brandire ai danni di Bettino Craxi, il vero padre della sinistra moderna. È inutile negarlo ed è inutile santificare Berlinguer per la sua pacatezza e presunta moralità, con lo scopo di renderlo padre della sinistra socialdemocratica. Solo Craxi ebbe la lungimiranza e il coraggio di superare definitivamente l’approccio marxista-leninista che dominava la sinistra, per approdare ad un socialismo liberale e riformista. Un socialismo fondato sulle libertà, sullo sviluppo, sui meriti e bisogni, e non sulla lotta di classe.

Fino alla sua morte, il segretario del Pci, al contrario, non prese mai completamente le distanze dal marxismo. Certo, ne rifiutò alcuni elementi, ne cercò di modernizzare altri (fallendo) ma non giunse mai al gradualismo e al socialismo. Cosa che invece riuscì a Craxi. Egli grazie agli intellettuali della rivista Mondoperaio, nella prima fase della sua segreteria, superò teoricamente i dogmi della sinistra comunista e poi approdò ad un riformismo politico. La svolta modernizzatrice degli anni Ottanta deriva proprio dal rifiuto dell’ideologia comunista. La teorizzazione della Grande riforma delle istituzioni e il nuovo Concordato tra Stato e Chiesa sono due chiari indizi del riformismo craxiano, volutamente e colpevolmente ignorati da Scalfari.

Il suo tentativo, invece, è quello di rovesciare la storia ex post, utilizzando esclusivamente la questione morale come metro di misura per giudicare Berlinguer. Alla luce di questo metodo, il leader del Pci sembra moderno. Cosa che non fu. Anche perché la questione morale, pur importante, fu un mezzo utilizzato dai comunisti per scardinare il sistema dei partiti, ma non costituì mai la base per un aggiornamento politico-ideologico. Rimase sempre un’arma per massacrare l’avversario e nulla di più. Tra l’altro, quell’approccio politico sfociò nel culto della magistratura e delle manette del Pds e fu il brodo di coltura del Movimento 5 Stelle. Cosa abilmente ignorata da Scalfari. In questo senso il moralismo nato con l’ultimo Berlinguer, per coprire l’enorme vuoto derivante dalla crisi del comunismo internazionale, fu sapientemente ereditato da Occhetto, in forma giustizialista, prima per distruggere Dc e Psi, poi per attaccare Berlusconi. Tuttavia, questa forma di giustizialismo si ritorse contro gli eredi dei comunisti, per via dell’affermazione dei grillini. I nuovi puri insomma epurarono gli ex puri, per dirla con Nenni.

Alla luce dell’infondatezza delle tesi di Scalfari è quanto mai importante ribadire che il padre della sinistra moderna è Bettino Craxi, e che il padre della sinistra moralista e giustizialista, immersa in una grave arretratezza politico-culturale, è Berlinguer. E che questa concezione politica è alla base del successo del Movimento 5 Stelle, non poco disprezzato da Repubblica.

Veniamo al secondo punto: il Pd in cui conviverebbero il comunismo democratico e il filone liberale di Francesco De Sanctis e Benedetto Croce. Anche in questo caso Scalfa ripropone una grave falsificazione, accostando due visioni del mondo agli antipodi. Questa affermazione, oltre che antistorica, è illogica: come potrebbe convivere il filosofo che teorizzò la religione della libertà con un’ideologia fondata sulla lotta di classe e la dittatura del proletariato? Non bisogna poi dimenticare che comunismo e liberalismo non hanno nulla a che fare con l’odierno Pd, distante sia dal comunismo “democratico” (virgolette d’obbligo…) che dal liberalismo. L’odierno Partito democratico potrebbe, al massimo, essere definito liberal. Questo accostamento, insomma, è un’ulteriore falsificazione, che si aggiunge alle precedenti.

L’editoriale di Scalfari è dunque una grave manipolazione storica. Un tentativo maldestro di giustificare la sua vicinanza al Partito democratico e il suo passato da simpatizzante di Berlinguer e odiatore di Craxi. Un passato abilmente distorto per riscrivere l’esito del duello a sinistra e per avvicinare il Pd al Pci berlingueriano. Ignorando consapevolmente che quello scontro fu vinto culturalmente dal Psi ma che fu rovesciato sul tavolo delle procure dal Pci-Pds.

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