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Winston Marshall: il musicista che le suona e le canta al pensiero mainstream

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Winston Marshall e Andy Ngo non hanno molto in comune. Il primo è un musicista britannico, conosciuto per suonare il banjo nella band Mumford & Sons; il secondo è un giornalista d’inchiesta statunitense di area conservatrice che ad inizio anno ha pubblicato “Unmasked: Inside Antifa’s Radical Plan to Destroy Democracy”, opera in cui critica il movimento di sinistra americano, che è stata a sua volta fortemente criticata per informazioni ingannevoli e manipolate. A legare i due è un tweet di Marshall dello scorso marzo rivolto allo scrittore: “Congratulazioni Andy Ngo. Ho trovato finalmente il tempo per leggere il tuo libro. Sei un uomo coraggioso”. Da allora la carriera dell’artista inglese è cambiata: prima si è preso una pausa, quindi a giugno ha deciso di abbandonare del tutto i Mumford & Sons dopo essere stato investito da una pioggia di critiche e di attacchi personali dalla bolla di Twitter.

Lo ha raccontato lui stesso con un post nel quale esprime pensieri e perplessità e spiegando che la scelta di chiamarsi fuori è dettata dalla consapevolezza di non voler trascinare gli altri membri del gruppo nel marasma. Nel suo intervento Marshall cita prima Churchill (“Courage is what it takes to stand up and speak. Courage is also what it takes to sit down and listen”) e poi il dissidente russo Aleksandr Solženicyn (“And he who is not sufficiently courageous to defend his soul — don’t let him be proud of his ‘progressive’ views (…). Let him say to himself: I am a part of the herd and a coward”). Quindi si smarca dalle accuse di essere un estremista di destra, definendosi centrista tendente liberal e ricordando soprattutto che la sua famiglia sa bene cosa sia il fascismo: “Tredici membri della mia famiglia sono stati uccisi nei campi di concentramento durante l’Olocausto. Darmi del fascista è da non crederci”.

Marshall ha svelato l’effetto “dietro le quinte” del suo intervento con un articolo pubblicato per lo Specator intitolato “Una tranquilla rivoluzione”. Colleghi musicisti, dottori, funzionari dell’amministrazione pubblica, attori, politici, pensatori, religiosi, studenti, professori, volontari, attivisti, giornalisti, imprenditori e tanti altri gli hanno confessato via messaggio di essersi autocensurati in più occasioni per paura che le loro opinioni costassero troppo caro alle proprie carriere e alle proprie vite personali. Motivo per cui “people stay quiet”, la gente rimane in silenzio. Dal canto suo l’artista, riproponendo il pensiero dell’oppositore cecoslovacco Václav Havel, confida che il ripristino di un dialogo onesto e di buon senso tra le parti e l’ammissione di essere tutti fallibili contribuirebbero a ristabilire la libertà di pensiero e di parola.

Marshall compare anche tra i cofondatori di Hong Kong Link Up, un’organizzazione no-profit per equiparare gli abitanti della città controllata dal governo di Pechino ai residenti britannici, garantendogli così uno status che li protegga dalle ingerenze del regime comunista cinese e di raggiungere il Regno Unito: la sua testimonianza è stata raccolta nell’ultima puntata del podcast Speaking Up curato dalla scrittrice di origine somala Ayaan Hirsi Ali, sulla quale pende la condanna dell’estremismo islamico – e degli ambienti woke. Una chiacchierata tra dissidenti contemporanei.

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