Esteri

5G e dati, Bruxelles gioca ancora con l’equidistanza tra Usa e Cina

In una recente intervista la commissaria Vestager fa l’equilibrista tra Washington e Pechino, mentre FBI-MI5 lanciano l’allarme rosso sullo spionaggio cinese

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L’Unione europea ha un’anima liberista o agisce contro il mercato? Quali sono i successi nel difendere e far progredire l’industria europea proteggendo al contempo la privacy dei cittadini? L’argomento è vasto e richiederà probabilmente numerosi articoli.

Iniziamo oggi dalla questione 5G e da Margrethe Vestager, attuale commissario europeo alla concorrenza incaricata anche di rendere l’Europa fit per l’era digitale.

Lo spunto viene da un’intervista rilasciata mercoledì 5 luglio a Chrsitophe Jakubyszyn, anchor della principale trasmissione economica francese sulla rete radio-televisiva BFM Business. Christophe è una sorta di Sebastiano Barisoni francese, per ruolo e stile di conduzione.

Margrethe, una vita dedicata alla politica, è ovviamente l’anima delle innumerevoli sanzioni alle grandi piattaforme e una delle forze oscure che hanno deciso di obbligarci ad “acconsentire” a qualunque cosa pur di far sparire gli insopportabili dialog box che dal 2019 in poi rallentano l’accesso alle home page di siti web e app.

L’intervista alla commissaria Vestager

Riportiamo innanzitutto alcuni scambi dell’intervista, che chi desidera può ascoltare qui.

CHRISTOPHE JAKUBYSZYN: Non è forse giunto il momento di andare oltre la protezione dei consumatori e la lotta ai monopoli statunitensi e cercare invece di far emergere dei campioni europei… magari un po’ grandi, magari anche un po’ monopolistici, ma in grado di competere con le piattaforme americane e cinesi?

MARGRETHE VESTAGER: Penso che il nostro approccio attuale sia benefico per gli europei, anche in termini di resilienza. Viviamo in un’epoca di grande inflazione e abbiamo capito l’importanza di avere più fornitori. Dobbiamo abbattere le barriere, non crearne.

Nota dell’autore: se vi sembra che domanda e risposta non siano particolarmente correlate… non siete i soli.

CJ: Quindi le proposte soprattutto francesi riguardo la necessità di ricreare un’autonomia europea, ad esempio sui componenti e le tecnologie, non la vede d’accordo…

MV: È un discorso importante e tutte le placche tettoniche della geopolitica sono in movimento. È necessario lasciare una traccia importante nella geopolitica. Per arrivarci dobbiamo avere accordi di partenariato.

Nota dell’autore: se avete dubbi sulla nostra traduzione ascoltate pure l’originale: è al minuto 2:14.

JC: Ma quindi per aiutare a ricostruire questo tessuto industriale europeo sarete più tolleranti rispetto agli aiuti di stato?

MV: Le batterie sono un buon’esempio: nessuno in Europa le ricicla, ma noi dobbiamo (re)inventare come riciclare e “digitalizzare” le batterie stesse. Stati e privati devono lavorare insieme per creare un progetto dove le batterie siano in grado autonomamente di informare quando è il momento di essere riciclate.

Scelte di campo

JC: Non è il momento che l’Europa scelga tra i due campi, quello statunitense e quello cinese?

MV: (lunga pausa, ndr). Bene, penso che stiamo ricalibrando la globalizzazione. I nostri contratti devono tenere conto delle condizioni di lavoro dei nostri fornitori, del loro rispetto degli orari di lavoro e della biodiversità. La nostra non deve essere una mondializzazione guidata dalla cupidigia.

L’Europa è vicina agli Stati Uniti, una democrazia, e anche all’India, un’altra democrazia. Con la Cina dobbiamo essere in relazione. Sarà una relazione complessa, ma dobbiamo lavorare con loro, anche sul problema dei cambiamenti climatici.

JC: E se gli Stati Uniti ci chiedessero di scegliere?

MV: Prendiamo il caso del 5G. Gli Usa hanno un rapporto virulento con alcune compagnie (il riferimento è alla vicenda Huawei, ndr). Ma noi non ci concentriamo su una società singola, ci concentriamo sui rischi.

Lavorando insieme noi europei dobbiamo sviluppare una cassetta di utensili che ci permetta di garantire che il 5G serva noi e contemporaneamente non mandi i nostri dati ad altri. Quindi possiamo mantenere un approccio europeo anche lavorando insieme agli Stati Uniti.

Equidistanza

Ci fermiamo qui. Ciascuno può farsi una propria idea del pensiero del commissario e raccomandiamo ancora una volta le parole originali a chi avesse il tempo di ascoltare. Per parte nostra non siamo sicuri di avere compreso a fondo le risposte, ma ci pare che il tentativo di mantenere una formale equidistanza tra le parti non riesca a mascherare una viscerale antipatia per gli alleati d’oltre Atlantico.

Le accuse a Huawei

Vediamo allora qualche fatto, partendo dal 5G. Come ricordiamo, gli ostacoli all’adozione degli apparati del produttore cinese Huawei erano stati posti nel 2019 da parte dell’amministrazione Trump e recepiti rapidamente dal Regno Unito. Il risultato più noto di questo bando è l’assenza dello store di Google dai telefoni Huawai. Ma il vero problema non è certo nei terminali utente, piuttosto riguarda le infrastrutture di rete.

Quali le accuse? Furto di proprietà intellettuale (problema sollevato da Cisco) ma soprattutto la possibile presenza di componenti hardware o software nascosti che – a comando – possano inviare dati riservati alla casa madre. Che poi è come dire al governo cinese.

Il dibattito su questo aspetto chiave è stato molto movimentato: da una parte non sembravano esistere ai tempi dei concreti flussi di dati verso la Cina, dall’altra si faceva notare come con un semplice update software (analogo a quelli che riceviamo tutti sui nostri pc e mac) Huawei avrebbe potuto attivare facilmente una tale funzionalità. Apparati cinesi come cavali di Troia, insomma.

Pericolo reale

La nostra (per quanto irrilevante) opinione personale è che il pericolo fosse reale, bene dunque fece il presidente Trump. Trattandosi di apparati altamente sofisticati ed essendo improbabile che la società accettasse di rendere disponibile il codice sorgente degli apparati stessi (sostanzialmente le istruzioni operative), nessun ricercatore avrebbe potuto verificare la concreta presenza di queste back door.

L’Unione europea

E l’Unione europea? Il titolo di un articolo di Bloomberg del gennaio 2020 parla chiaro: “L’Ue non emetterà direttive che interdicano gli apparati 5G di Huawei”. Nonostante le forti pressioni da parte del governo Usa, l’Ue ha eroicamente resistito, limitandosi a “raccomandare ai singoli stati di restare attenti e vigili” (dichiarazione di Thierry Breton, commissario europeo alle politiche digitali).

L’Italia

Per quanto riguarda l’Italia, l’allora ministro per lo sviluppo economico, il senatore 5 Stelle Stefano Patuanelli, ebbe a dichiarare che la società Huawei aveva diritto ad avere un ruolo nel 5G italiano, anche in considerazione della legislazione nazionale che già protegge la sicurezza delle nostre infrastrutture.

Come dire che, a fronte di una legge, chip e algoritmi sono totalmente disarmati. Leggendo Reuters parrebbe che il nostro ministro avesse anche effettuato un benchmark approfondito, in quanto avrebbe successivamente affermato che “Huawei offre le soluzioni migliori ai migliori prezzi”.

In ogni caso, le pressioni statunitensi devono essere continuate in modo efficace, in quanto a fine 2020 il vento comincia a cambiare e il governo Conte 2 pone il veto all’adozione di apparati Huawei da parte di Fastweb. Certo, c’è da dire che gli svizzeri (purtroppo ormai proprietari della società fondata da Silvio Scaglia) se la erano cercata, avendo previsto e annunciato un network “core” totalmente basato sui prodotti cinesi.

Persa un’occasione d’oro

Il giorno immediatamente successivo all’intervista di Vestager, FBI e MI5 hanno indetto una conferenza stampa congiunta – assolutamente atipica – al fine di emettere un raro avvertimento al mondo occidentale della “immensa” minaccia rappresentata dalla Cina e da “un’operazione su larga scala per sottrarre tecnologie occidentali e influenzare scelte politiche”.

Non sappiamo come avrebbe commentato la cosa il nostro commissario, ci limitiamo qui a constatare come, indipendentemente dalle buone intenzioni di “autonomia”, l’Ue non sia riuscita a non bloccare del tutto l’adozione degli apparati cinesi da parte degli stati membri.

Ma soprattutto, come abbia perso un’occasione d’oro: riposizionare e rilanciare come fornitori alternativi e sicuri le due perle europee, Ericsson e Nokia, assoluti leader mondiali ai tempi del 2G e del 3G. Il market share visibile nel grafico riportato sopra parla chiaro.

Non ci resta che consolarci con i famosi dialog box dove possiamo scegliere se e in quale misura approvare l’uso dei cookies: argomento affascinante su cui torneremo a breve.

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