Esteri

6 Gennaio, atto finale: contro Trump accuse infondate e un processo politico

Passo falso della Commissione voluta da Pelosi: ora un’eventuale azione penale del Dipartimento di Giustizia apparirebbe politicamente motivata per favorire Biden

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La Camera dei Rappresentanti sta per passare – da gennaio – sotto il controllo dei Repubblicani, ma la Commissione 6 Gennaio ha voluto piazzare in extremis il suo colpo di teatro finale, deferendo l’ex presidente Donald Trump al Dipartimento di Giustizia con le accuse di ostruzione al Congresso, frode contro gli Stati Uniti e addirittura insurrezione, per il noto assalto al Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021.

Solo raccomandazioni, senza effetti legali. Ma se si vanno a guardare i procedimenti penali in corso da due anni nei confronti dei manifestanti in relazione ai fatti di quel 6 gennaio emerge limpidamente la totale strumentalizzazione politica da parte della Commissione voluta da Nancy Pelosi.

Contro Trump accuse infondate

Basti pensare che su oltre 800 “rivoltosi” perseguiti, il Dipartimento di Giustizia non ha accusato una sola persona del crimine federale di insurrezione. Nemmeno quelli che hanno chiaramente commesso atti di violenza. Inoltre, nei procedimenti per i capi d’accusa più gravi – cospirazione sediziosa e cospirazione per ostacolare il Congresso – il DOJ non ha nemmeno citato Trump come co-cospiratore, tanto meno lo ha accusato.

Al contrario, i procuratori hanno ritenuto che Trump sia stato un pretesto per la violenza, non il suo catalizzatore, e hanno persino respinto con forza i tentativi di alcuni rivoltosi di difendersi addossando la colpa all’ex presidente.

Impensabile anche incriminare Trump per istigazione ad un crimine violento, perché l’ex presidente ha esplicitamente chiesto una manifestazione pacifica. E se la Commissione ha potuto deliberatamente eliminare dai suoi atti ogni riferimento di Trump alla nonviolenza, un procuratore non potrebbe farlo. E in ogni caso, emergerebbe come prova a discarico durante il dibattimento.

Come ha ricordato sul New York Post l’ex procuratore Andrew McCarthy, non di simpatie trumpiane, spetta al Dipartimento di Giustizia avviare l’azione penale. E poiché ha “una competenza istituzionale e un arsenale investigativo superiori, non è né necessario né prudente per i procuratori fare affidamento su una valutazione del Congresso, un organo politico, per stabilire se siano stati commessi crimini”.

Processo politico

In particolare, proprio la Commissione 6 Gennaio è risultata essere molto faziosa nella sua composizione e nel suo operato. Formalmente bipartisan, in realtà anche i due membri Repubblicani sono stati scelti dalla Speaker Nancy Pelosi – nonostante la contrarietà della leadership Gop – in base al criterio dell’odio per Trump.

La Commissione non ha consentito alcun controinterrogatorio, le sue udienze si sono svolte in assenza di contraddittorio. Testimonianze e video montati ad arte per offrire una rappresentazione drammatica, a supporto di una unica narrazione rimasta incontrastata. In breve, si è trattato di un processo politico a senso unico.

La difesa di Trump

Ecco perché il deferimento di Trump al Dipartimento di Giustizia da parte della Commissione può persino minare la credibilità di una eventuale azione penale nei suoi confronti.

Come osserva McCarthy, infatti, anche se i procuratori dovessero mettere in piedi in modo scrupoloso un caso con prove e testimonianze attendibili, dopo la richiesta di incriminarlo arrivata dalla Commissione 6 Gennaio Trump potrebbe sostenere in modo plausibile che l’accusa è politicamente motivata.

Potrebbe per esempio osservare, senza poter essere smentito, che il Dipartimento di Giustizia di Joe Biden non aveva intrapreso alcuna azione fino a quando la Commissione del Congresso, sotto il controllo dei Democratici, non ha espressamente richiesto un procedimento giudiziario.

E sarebbe in grado di sostenere correttamente che il DOJ non aveva accusato Trump, né accennato ad un suo coinvolgimento diretto nei casi che ha intentato contro 800 persone nell’arco di due anni.

E potrebbe altresì notare che solo dopo aver annunciato la sua candidatura alla Casa Bianca contro il presidente Biden, e su richiesta di una Commissione estremamente partigiana, solo allora il Dipartimento di Giustizia di Biden ha formulato il suo atto d’accusa, con il plausibile scopo di eliminare un candidato scomodo.

Le richieste della Commissione 6 Gennaio, conclude McCarthy, “non aiutano il DOJ a costruire un’accusa, ma potrebbero benissimo aiutare Trump a costruire la sua difesa“.

Il fallimento della Commissione

In realtà, il fallimento della Commissione è evidente: non solo non ha trovato il minimo nesso penalmente perseguibile che possa collegare Trump alla violenza del 6 gennaio. Ammesso che intendesse davvero interrompere la transizione pacifica del potere, la Commissione non si è avvicinata a provare oltre ogni ragionevole dubbio nemmeno questo.

Responsabilità della Pelosi insabbiate

Tra l’altro, dalle e-mail e dai messaggi resi pubblici da cinque Repubblicani della Camera – e ovviamente ignorati dalla Commissione 6 Gennaio – emerge che la Speaker Pelosi non solo rifiutò l’assistenza della Guardia Nazionale offerta dall’amministrazione Trump, ma ignorò gli avvertimenti di minacce alla sicurezza, negando alla polizia le risorse adeguate che pure erano state richieste.

Come riportato da John Solomon, i messaggi indicano che il suo staff iniziò a incontrare e comunicare con i funzionari che pianificavano la sicurezza del Campidoglio, e ne modificavano anche i piani, dall’inizio di dicembre 2020 fino alle ultime 48 ore prima dell’assalto, nonostante Pelosi avesse negato che lei o il suo staff avrebbero potuto influenzare la sicurezza quel giorno in cui il Congresso fu violato (“non ho alcun potere sulla polizia del Campidoglio”) .

Comunicazioni intercorse nello stesso periodo in cui la polizia del Campidoglio iniziava a ricevere informazioni ampie e dettagliate secondo cui gruppi estremisti stavano discutendo di assaltare il Campidoglio, attaccare i parlamentari, prendere di mira i tunnel sotto il complesso e bloccare la prevista certificazione dei risultati delle elezioni del 2020.

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