Esteri

La strategia del “Porcospino”: ecco come Taiwan si sta preparando a difendersi

A Taipei si guarda all’Ucraina. Grandi sforzi per farsi trovare pronti a difendersi “fino all’ultimo uomo”. Preoccupa il terzo mandato di Xi, attacco previsto entro 5 anni

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Taipei – Dieci giorni a Taipei alla fine di ottobre incontrando i vertici politici, militari e industriali della Repubblica di Cina – Taiwan, sono appena sufficienti a farsi un’idea del Paese e della complessità dei problemi con cui l’isola si confronta, con animo sereno.

Sono arrivato a Taipei, per la quinta volta, ospite del Ministero della difesa taiwanese per partecipare al seminario accademico sugli studi di “Sicurezza internazionale e regionale” dopo un’assenza di tre anni a  causa virus di Wuhan (come andrebbe chiamato il Covid-19).

Al contrario di quanto affermato da fantasiose sirene, ci si rende subito conto che la situazione è assolutamente tranquilla e balza all’occhio il fatto che le regole per contrastare la trasmissione del virus sono implementate in tutto il Paese in modo importante. Il Covid è stato contenuto dai taiwanesi in modo encomiabile, il governo continua a mantenere una vigile allerta e tutti, ma proprio tutti i taiwanesi vestono la mascherina in ogni dove.

C’è la ragionevole preoccupazione che una nuova ondata della pandemia proveniente dalla Cina Popolare, come la precedente, potrebbe creare problemi alla società e all’economia dell’isola.

Empatia per l’Ucraina

Dai primi incontri con funzionari del governo e della difesa si intuisce rapidamente che se si entra nel merito dell’aggressione russa all’Ucraina, questa è fortemente al centro dell’attenzione sia degli organi governativi sia dell’opinione pubblica taiwanesi.

Pur essendoci numerose differenze, è difficile, a Taipei, non guardare con particolare preoccupazione a cosa avviene in Europa, atteso che Taiwan convive da decenni con un vicino più grande che minaccia una riunificazione forzata senza escludere la soluzione militare.

Fin dal 24 febbraio, chi comprende la strategia ha affermato che le due situazioni geografiche e ambientali sono comunque diverse, ma ci sono anche sentimenti e una storia di divisioni e riunioni che forse chi non è mai stato sia a Taiwan sia a Kiev fa fatica a comprendere per tracciare il quadro attuale.

Il presidente taiwanese, Tsai Ing-wen, una donna determinata e amatissima dal suo popolo (rieletta per un secondo mandato dopo i successi ottenuti), nell’incontro organizzato con i partecipanti al seminario ha parlato di “empatia per l’Ucraina” e confermato l’attenzione del suo paese a quanto avviene in Europa per trarne le opportune indicazioni sia politiche sia militari.

Fino all’ultimo uomo (e donna)

Dalle sue parole, nel corso dell’incontro, traspare che Taipei sta facendo un grande sforzo economico per essere pronta, con le sue forze armate, a difendere il suo sistema democratico in caso di aggressione. C’è la fondata certezza che, se venisse attaccato, il popolo taiwanese resisterebbe “fino all’ultimo uomo (e donna)”.

E in tal senso si sta agendo per far capire anche alle giovani generazioni il livello della minaccia e accertarsi che abbiano chiari i valori della democrazia e della libertà di espressione.

Taipei guarda ad alleanze geopolitiche nell’Indo-Pacifico, sia sul piano economico sia su quello diplomatico, ma non si è mai parlato di alleanze militari per non creare attrito con la Cina Popolare, che ha rapporti economici con tutti i Paesi della regione, molto più intensi di quelli, ad esempio, che la Russia aveva con il resto di Europa prima dell’aggressione all’Ucraina, non solo per le forniture di idrocarburi.

La minaccia della “riunificazione”

Con la sua fiorente economia e un apprezzabile livello di vita, senza ombra di dubbio Taiwan è lo stato che paga il prezzo maggiore dall’emergere della Cina Popolare come superpotenza del 21mo secolo.

Nell’inarrestabile ascesa di Pechino come potenza economica e presunta militare, Taiwan, al momento, è l’unico Paese che vedrebbe a rischio la sua economia e i suoi traffici commerciali. La minaccia, non velata, è quella di prendere il controllo dell’isola, dopo una cruenta occupazione. E dovrebbe far riflettere dopo che Pechino ha dimostrato al mondo come agisce a Hong Kong e nelle aree dove c’è un’opposizione al suo regime comunista.

Nello specifico, da pochi giorni il presidente cinese Xi Jinping ha riaffermato che la Cina Popolare si riserva la facoltà di “prendere tutte le misure necessarie” contro “l’interferenza di forze esterne” sulla questione Taiwan. In un lungo discorso al XX Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, Xi ha parlato con fermezza della determinazione della Cina Popolare a riunificare l’isola autogovernata, che Pechino considera arbitrariamente parte del suo territorio.

“Continueremo a lottare per la riunificazione pacifica con la massima sincerità e il massimo sforzo”, ha detto Xi, aggiungendo però che “non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza e ci riserviamo la possibilità di prendere tutte le misure necessarie”.

Le tensioni intorno a Taiwan si sono intensificate quest’estate dopo la visita della Speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Nancy Pelosi sull’isola. La visita è avvenuta nonostante gli avvertimenti dalla Cina Popolare, che sostiene che l’isola non dovrebbe avere il diritto di condurre relazioni estere.

Il terzo mandato di Xi preoccupa Taipei

Il terzo mandato di Xi come presidente della Cina Popolare segna, poi, un brusco raffreddamento di quella che era considerata una speranza per migliorare le relazioni tra Taipei e Pechino. A Taiwan le “purghe” in corso, interne al Partito Comunista cinese, sono osservate con la massima attenzione anche per l’aspetto economico, in quanto sono numerose le società taiwanesi che hanno investito nella Cina Popolare e vi producono per miliardi di dollari.

Nonostante questo, quando si passeggia per le colorate vie di Taipei non si ha certo l’impressione di essere sotto attacco imminente. Come un esperto militare ha affermato in questi giorni: “A Taiwan non si vive come in Israele”.

Il Ministero degli Affari esteri è attivo per far conoscere la situazione di Taiwan nel contesto internazionale e la sua permanente ingiusta esclusione dall’Onu e dalle sue agenzie, anche sanitarie.

Pechino è attiva sul piano diplomatico per isolare Taipei. Per tale opera di soft power si avvale della capillare azione in tutti i Paesi del mondo delle sue sedi diplomatiche (ambasciate e consolati). Dal 2022 la Cina Popolare ha superato, per numero, il dispositivo diplomatico Usa: 280 sedi diplomatiche contro 275.

Il “Porcospino”

Come già indicato il governo taiwanese sta impegnando energie e fondi per consolidare il suo sistema di difesa.

Innanzitutto, è necessario ricordare che l’isola di Taiwan è grande 36 mila chilometri quadrati (il paragone con la Sardegna che con i suoi 24 mila kmq è esattamente due terzi di Taiwan è ottimale, anche per la distanza dal continente, la Madrepatria come i taiwanesi chiamano la Cina Popolare) ed ha una popolazione di più di 23 milioni di abitanti.

Su questa superficie densamente abitata le forze armate possono, in caso di mobilitazione, arrivare a circa due milioni di unità a vario livello di addestramento. Ulteriori informazioni sono coperte dal segreto militare.

Certamente tutte le forze armate taiwanesi godono del non celato supporto americano, sia per l’addestramento a livello strategico/operativo sia per gli armamenti avanzati e la relativa logistica.

La strategia difensiva ora attuata da Taipei è quella denominata “Porcupine“ (Porcospino). In estrema sintesi si vuole far capire all’aggressore che, in caso procedesse a un attacco, le perdite umane e di mezzi non corrisponderebbero mai ai vantaggi ottenuti.

Inoltre, la forte urbanizzazione, la densità abitativa e le difficoltà di attraversamento del territorio (estese risaie, montagne e percorsi obbligati) danno, a fronte della possibilità di impiego delle moderne armi anticarro e antiaeree (oggi ottimamente utilizzate dall’esercito ucraino) un forte vantaggio a chi difende un territorio da questi ben conosciuto.

I tempi di Pechino

Logico che Pechino faccia seguire alle minacce il completamento di un apparato militare di attacco che le garantisca, a suo parere, il successo in caso di ostilità. Ma ciò prevede sia costi notevoli, sia tempo e sviluppo di conoscenza strategica.

Il presidente cinese Xi Jinping sa bene che un attacco fallimentare segnerebbe la fine del suo potere personale e uno smacco per la Cina Popolare, probabilmente la fine della sua ascesa sul piano politico ed economico internazionale.

Le manovre navali ordinate da Pechino dopo la visita di Nancy Pelosi hanno la loro importanza come possibile test ma non dimentichiamo che esiste l’incognita del supporto Usa e dei suoi alleati nell’Indo-Pacifico (Giappone, Corea, Australia…) a Taiwan.

Sicuramente “se” ci sarà un’offensiva/aggressione della Cina Popolare non sarà questione di mesi ma di anni e il “quando” dipenderà dalle capacità industriali e organizzative del governo di Pechino e delle sue forze armate.

Alcuni analisti prevedono che non si tratti di sapere “se” ma solo di “quando” e ipotizzano che tra cinque anni, al prossimo congresso del Partito Comunista, il presidente Xi possa presentarsi “ad aggressione avvenuta”. Vedremo.

La questione microprocessori

Taiwan è uno dei più grandi produttori di microprocessori mondiali non sono quantitativamente ma anche qualitativamente.

L’attenzione sia di Washington sia di Pechino nei confronti di Taipei non è quindi solo dovuta a ragioni storico-politiche e alla posizione strategica dell’isola, che controlla i commerci marittimi che passano nello Stretto di Taiwan, ma anche, se non soprattutto, al fatto che la produzione di microprocessori è basilare per l’economia industriale mondiale.

Gli Stati Uniti supervisionano le società taiwanesi produttrici e hanno “concordato” che Taiwan non esporti verso la Cina Popolare, per alcun motivo, microprocessori che potrebbero essere utilizzati nella fabbricazione di armamenti. Inoltre, e a titolo di esempio, Apple produce la grande parte dei telefoni e computer che “funzionano con il suo sistema operativo” in Cina Popolare utilizzando microprocessori “made in Taiwan”.

Questa settimana ho visitato, conoscendone la proprietaria, gli stabilimenti della Acer e l’industria della difesa taiwanese e ho potuto constatare come sia avanzata la conoscenza specifica ingegneristica e la capacità di sfruttare al meglio la tecnologia connessa ai processori fabbricati in proprio dall’isola.

Se non avverranno cambi eccezionali nel corso delle prossime elezioni, Taiwan rimarrà ferma sulle sue posizioni di Paese democratico e sovrano.

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