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Altrove si vota o si cambia, solo in Italia democrazia congelata

Mentre a Londra, Parigi o altrove si vota o si cambia indirizzo politico, in Italia tutto è concesso, tranne una crisi di governo e conseguenti elezioni anticipate

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La crisi di governo a Londra, con le dimissioni di Boris Johnson e la lotta per la successione a Downing Street, tutto nel mezzo di una guerra e di una emergenza economica, è una forte prova, talvolta crudele, di democrazia.

Nello stesso contesto i francesi hanno potuto scegliere senza drammi il loro presidente, Emmanuel Macron, respingendo il “populismo” della Le Pen, al termine di un consolidato esercizio democratico.

Democrazie in salute

Ma gli esempi potrebbero continuare. Insomma, chiamare gli elettori ad esprimersi nelle urne, o aprire e risolvere crisi di governo, anche in emergenza, è possibile e, anzi, è simbolo di un sistema democratico vitale, in salute.

Democrazie che, anche con la guerra in corso e l’inflazione galoppante, si mettono in discussione, correggono i loro indirizzi politici. Tutto questo avviene nel Regno Unito, in Francia e altrove. Ovunque, ad eccezione dell’Italia.

E democrazie bloccate

In Italia, solo la remota idea di chiamare i cittadini alle urne anticipatamente, è definita dalla quasi totalità delle forze politiche come irresponsabile e fuori luogo.

Il motivo è presto detto: le due crisi, pandemia prima e guerra adesso, dettano l’operato del Parlamento e la continuità a Palazzo Chigi. In barba alla volontà del popolo, la legislatura prosegue ad ogni costo politico e la crisi di governo diventa la più banale delle minacce politiche, un espediente per condurre battaglie identitarie in Parlamento e provare a risalire la china nei consensi in vista delle politiche del prossimo anno.

Tutto è concesso, tranne il voto

Una volta consolidato e appreso questo meccanismo poco o nulla democratico, a leader e partiti di questa larga maggioranza tutto è concesso.

Il ministro degli esteri Luigi Di Maio può, con la benedizione del Quirinale, voltare le spalle al suo partito, primo per seggi in Parlamento, fondare nuovi gruppi alla Camera e al Senato, portare con sé una settantina di ex parlamentari 5 stelle e rimanere comunque alla guida della Farnesina, con il bene placito di premier e alleati di governo.

Il leader, sempre del primo partito in Parlamento, può tenere sotto scacco il governo Draghi, minacciando prima una improbabile crisi di governo e poi, a forza di penultimatum, il ritiro dei tre ministri rimasti dopo la scissione. E non contenti, i deputati del M5S decidono di non partecipare al voto finale della Camera sul decreto iuti. Tutto è possibile, tranne una crisi di governo e conseguenti elezioni anticipate.

Draghi tra i ricatti incrociati

Indifendibile anche la posizione del presidente del Consiglio Mario Draghi. Un premier sempre più succube dei ricatti dei partiti ma allo stesso tempo prudente a non scontentare nessuna delle parti in gioco.

Giuseppe Conte ha presentato una lista di nove punti, tutti temi cari ai pentastellati, ed esige una risposta chiara entro fine mese. Matteo Salvini ha dichiarato di “votare solo quanto serve all’Italia” mal celando una forte opposizione a ius scholae e legalizzazione cannabis, proposte di legge presentate alla Camera dal Pd. Anche il leader del Carroccio vuole delle risposte chiare, questa volta entro settembre. 

Il premier prova a districarsi dalla morsa ma fallisce, mostrando un’immagine di Palazzo Chigi tutt’altro che determinata. La decisione è quella di rimandare all’infinito la crisi di governo e congelare tutto il possibile.

Accoglie i nove punti di Conte nel programma dell’Esecutivo e presenta, ad Ankara, direttamente al “dittatore” Erdogan, la questione immigrazione cara a Salvini e al suo elettorato. Dando così un segnale distensivo e debole sia ai 5 Stelle sia alla Lega.

Solo un governo forte della legittimazione popolare può far fronte a inflazione, carovita e siccità; prepararsi ad un inverno di sacrifici e alla crisi energetica in corso, con la prospettiva di razionamenti ad hoc e politiche di austerity nei consumi.

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