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Referendum

Chi ha ucciso l’istituto referendario e come resuscitarlo

Zuppa di Porro: rassegna stampa del 19 dicembre 2020

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Come previsto da più parti, i cinque quesiti referendari sulla giustizia non hanno raggiunto il quorum necessario per la validità della consultazione. Insomma, già si sapeva che solo una minoranza di elettori si sarebbe recata a votare, anche se ci si immaginava una partecipazione leggermente più cospicua.

Invece, appena il 20 per cento degli aventi diritto al voto ha deciso di dire la propria sui referendum promossi da Lega e Partito Radicale. Una percentuale favorita dalla concomitanza delle elezioni amministrative in diversi comuni, altrimenti, i numeri sarebbero stati ancora più miseri.

Disaffezione crescente

La disaffezione si è rivelata più drammatica rispetto a quei referendum più recenti della storia italiana, che pure hanno mancato, anch’essi, la conquista dell’agognato quorum. Ormai è diventata quasi una consuetudine quella dei flop referendari, ma non ci si dovrebbe abituare ai ripetuti fallimenti che avvengono attorno a questo splendido strumento di democrazia diretta.

In un sistema democratico sano ed efficiente non dovrebbe essere così, eppure, le forze politiche o elementi della società civile organizzati in comitati ad hoc, si cimentano talvolta in raccolte firme a sostegno della presentazione di uno o più quesiti referendari, respirando, ancora prima dell’apertura dei seggi, l’aria della disfatta.

L’astensionismo sta diventando importante anche per quanto riguarda le elezioni politiche e amministrative, ma esso assume dimensioni gigantesche durante i referendum. Gli italiani non credono e non si appassionano più a tali consultazioni popolari, ma non è del tutto colpa loro.

Chi ha demolito l’istituto referendario

L’immaturità e, sovente, il cinismo della politica nel suo insieme, hanno progressivamente demolito l’istituto referendario. I partiti cavalcano i referendum solo quando conviene loro.

Come è successo con i cinque quesiti sulla giustizia, si invita la gente ad andare al mare, oppure, con la complicità dei media e di quei poteri forti, come quello giudiziario, che vivono di immobilismo e stagnazione, la si tiene lontana da ogni tipo di informazione utile.

Le si impedisce, in buona sostanza, di conoscere per deliberare. Il silenzio mediatico sui referendum del 12 giugno scorso è stato deliberato e organizzato, e la monopolizzazione delle notizie da parte della guerra in Ucraina ha rappresentato soltanto un alibi.

Il Partito democratico non si è comportato poi tanto diversamente da Bettino Craxi, che nel giugno del 1991, di fronte al referendum sulla preferenza unica, invitava la gente ad andare al mare. Allora, però, gli italiani non cedettero alle sirene dell’astensionismo.

La politica usa la democrazia diretta come le leggi elettorali, quasi sempre scritte per favorire qualcuno e per ostacolare qualcun altro.

Chi si fa promotore di una campagna referendaria deve crederci fino alla fine e non abbandonarla a sé stessa ad un certo punto del percorso, come ha fatto la Lega, a parte la lodevole eccezione di Roberto Calderoli. Se nemmeno i promotori si rivelano del tutto convinti, come si può sperare nel coinvolgimento degli elettori?

Il Parlamento ha il dovere di recepire i risultati referendari, ma sappiamo che così non è stato in tanti frangenti della storia repubblicana. Quindi, il cittadino ha via via maturato sfiducia e disincanto sempre maggiori, giungendo a ritenere i referendum come un inutile dispendio di denaro pubblico.

La stessa Repubblica in cui viviamo è nata da un referendum e tale istituto ha svolto in Italia un’azione decisiva su questioni come divorzio e aborto, ma oggi, grazie alla scarsa lungimiranza e alla malafede generale, siamo all’anno zero in fatto di democrazia diretta.

Come resuscitare il referendum

Si può, anzi si deve senz’altro discutere di una revisione del quorum, ed occorre anche pensare ad una riformulazione meno burocratica dei quesiti presenti sulla scheda.

In Svizzera, dove il referendum viene usato bene e per una grande quantità di argomenti, il linguaggio degli interrogativi sottoposti all’attenzione dei cittadini è semplice e comprensibile per tutte le fasce della popolazione. Sarebbe ora altresì di puntare anche al referendum propositivo.

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