Politica

Finalmente il silenzio (elettorale): cronisti del pensiero altrui

La troppa comunicazione fa malissimo e ottiene spesso il risultato opposto. Stiamo diventando cronisti del pensiero altrui più che artefici del nostro

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Silenzio elettorale. Per quanto inutile esso sia, almeno ai fini della libera scelta degli elettori di tracciare il famigerato segnetto sulle schede, se dipendesse da me, lo farei iniziare il giorno dopo la convocazione dei comizi elettorali.

Verremmo, perlomeno, risparmiati dagli smottamenti fangosi e dalle tracimazioni delle dichiarazioni di proprio tutti i politici, pure se non fossimo tristemente già esperti di tali calamità ogni volta che piove, in questa sfessante campagna elettorale che pare sempre più orientata a “fare una testa tanta” ai poveri italiani.

Silenzio come pausa nel (troppo) parlato, pausa di riflessione interiore, libero esercizio del pensiero, il quale c’è o non c’è e non possono imporcelo. Accade a tutti di aver bisogno di silenzio, ogni tanto, di non sentire alcuna voce o rumore, di sentire la necessità insopprimibile di essere lasciati in pace.

Non soltanto la troppa comunicazione – male endemico e transnazionale contro la quale, nel mio piccolissimo, lotto da anni anche qui – fa malissimo, ma ottiene sempre più spesso il risultato esattamene opposto a ciò che il comunicatore del momento vorrebbe.

In pura teoria, la parola dovrebbe riflettere ed esternare un pensiero compiuto, ma nemmeno allora dovrebbe essere automaticamente versata senza indugio nel grande secchio della iper-comunicazione.

Cronisti del pensiero altrui

Assistiamo, invece, ad un continuo botta-e-risposta su tutto e su tutti, che sembra affidare la sospirata ultima parola al giudizio finale di una Cassazione che non arriverà mai, costringendoci quotidianamente ad aggiornarci sull’ultimissima posizione dei nostri maitres a penser.

Verrebbe da chiedersi se, per sviluppare un nostro concetto, si debba per forza fare riferimento all’opinione di un numero di “esperti” ed “autorevoli” che sia direttamente proporzionale al peso che la nostra opinione vorremmo avesse nella cerchia delle persone con le quali abbiamo a che fare. Stiamo diventando cronisti del pensiero altrui più che artefici del nostro.

Tanto è irrilevante il nostro pensare individuale, a volte impreciso e fallace ma meravigliosamente nostro, da ridurci a meri collezionisti dell’altrui pensiero, più o meno compiutamente riportandolo in una qualsiasi conversazione.

Si è rovesciato, capottando miseramente nel precipizio dei “pressappoco”, quel sacrosanto metodo di pensare prima con la nostra testa, simpatizzando con chi ci paia più in sintonia con noi. Adesso si usa informarci sulle opinioni dei politici in primis, scegliendo, di conseguenza, quella che ci sembra meno lontana dalla nostra, e non è la stessa cosa.

Un esperimento

Facciamo un esperimento assieme e provate, con me, a chiacchierare per un solo giorno, con diversi vostri conoscenti su qualsiasi argomento a vostra scelta. Attenzione: non fate loro intendere che avete la volpe sotto l’ascella e che, in quella sede, il vostro interlocutore è la cavia del vostro perfido esperimento sociale.

In termini puramente probabilistici, chi vi ascolta potrebbe tagliare corto e dirvi che della questione non ne sa nulla, oppure che la cosa non è di suo interesse (marcate subito la persona come degna di rispetto ed amicizia); diversamente potrà subito interrompervi per sciorinare le sue conoscenze in materia, come per dirvi: ”Ma cosa vieni a raccontarmi? Ne so già abbastanza”.

Che l’interlocutore abbia assunto questa posizione ve n’accorgerete dall’espressione facciale e dal sorrisetto sardonico. In questo caso potrete iscriverlo alla ben nutrita classe di quelli che da noi non intendono farsela raccontare (in questo caso, la lezione è tutta per noi: non a tutti interessa chi siamo, di cosa e come parliamo, per cui facciamocene dignitosa e tombale ragione).

I “Competitivi”

Ma la terza (e forse ultima) categoria sarà immancabilmente composta da quelli che, non soltanto v’interrompono spesso, ma fanno pure sfoggio di citazioni e pareri (rigorosamente) terzi, per confermare quanto state dicendo loro: ”Dici bene, boomer, ma guarda che io leggo tutti i giornali e sono sempre sui social”.

Questa è una categoria potenzialmente letale per i vostri rapporti presenti e futuri con loro ed i casi sono soltanto due: o avete a che fare con un professionista della piaggeria (per quanto molti amino essere adulati), oppure state parlando con chi delle vostre quattro chiacchiere, magari del tutto casuali, intende farne una competizione.

Con i competitivi bisogna sempre stare attenti perché, non soltanto, alla prima occasione che darete loro, proveranno a mettervela in saccoccia (vivono di quello) e, comunque, a causa della loro potente autostima, state perdendo tempo, come sempre accade interloquendo con chi sia posseduto dal demone dell’“io la so più lunga di tutti”.

Via di fuga

Noi comuni mortali, tuttavia, abbiamo sempre una comoda via di fuga alle semplici chiacchiere tra conoscenti e, di sicuro, quegli stessi discorsi non ci verranno riproposti per mesi dai media. Ma un conto sono le sacrosante chiacchiere tra amici, le quali, nella maggior parte dei casi, sono gradite, tutt’altro paio di maniche sono i tormentoni di questa subdola e incattivita campagna elettorale.

Ben mi guardo dal dare consigli all’una o all’altra parte ma, dovessi sciaguratamente darmi alla apolitica, farei affiggere manifesti col mio nome, sotto alla fotografia di un castoro o, che so, di un rubinetto, lasciando tutto il resto della pagina assolutamente bianca. Sapete cosa vi dico? Chiederò a Nicola Porro e Federico Punzi se mi autorizzano a scrivere un articolo, a mia firma, con una bella e rigenerante pagina bianca.

Silenzio.

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