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Intimidazioni in serie: creato un clima infame e pericoloso

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L’inverno si avvicina lento ma inesorabile, come nella celebre opera di George R. R. Martin. Alla data fatidica, 21 dicembre, mancano esattamente quattro settimane. E la tensione alimentata per mesi da un partito senz’anima e senza identità, disposto a tutto pur di mettere in cattiva luce il governo in carica, sta iniziando a mostrare i suoi effetti.

Il manichino di Meloni a testa in giù

Ieri un gruppo di attivisti dei centri sociali senza arte né parte, gente che si riempie la bocca del termine “inclusività” senza nemmeno conoscerne il significato, ha organizzato una manifestazione in cui un fantoccio raffigurante Giorgia Meloni è stato appeso a testa in giù, stile Piazzale Loreto.

E non è un caso che ciò sia accaduto a Bologna, città che purtroppo in Italia tutti conoscono non solo per i tortellini in brodo, ma anche per i sei colpi di pistola che uccisero il rettore di Modena per l’orientamento al lavoro Marco Biagi, freddato a un passo da casa sua, in via Valdonica, il 19 marzo del 2002.

Per carità, non è la prima volta che capita. Ormai, in territorio rosso, è tradizione consolidata “appendere a testa in giù” — fortunatamente, da diversi anni, solo in modo metaforico — i presunti nemici del popolo.

Nell’ultimo mese, per esempio, sono passato dalla libreria Feltrinelli, in piazza Ravegnana, sotto la Torre degli Asinelli, almeno due volte. E ho sempre notato l’autobiografia di Giorgia Meloni, con il volto dell’autrice in copertina rigorosamente capovolto (sicuramente opera di qualche cliente). Quasi a dire: “Voi siete al governo, ma non avrete vita facile. Perché non siete legittimati a governare. Perché disprezzate i poveri e amate i ricchi. Perché siete fascisti”.

E pazienza se, in tutti e cinque i maggiori Paesi europei, compresa l’Italia, come ampiamente documentato da Luca Ricolfi in un bellissimo saggio (“La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra”, Rizzoli), “il consenso della destra è massimo nei ceti più umili (…) ed è minimo nei ceti più attrezzati”.

Da Bologna a Roma

Quelli che si notano, da qualche mese a questa parte, sono segnali piccoli ma neanche tanto, intimidazioni velenose che serpeggiano nelle librerie, nelle aule universitarie e in alcune aree urbane, non necessariamente periferiche.

Anzi: ormai da anni nella zona universitaria di Bologna, a un passo da Piazza Maggiore, imperversano minoranze rumorose e intolleranti che cercano a tutti i costi lo scontro con le forze dell’ordine. L’illegalità, da via Zamboni in giù, non è mai stata contrastata con risultati efficaci dall’amministrazione comunale (i sindaci vanno e vengono, ma il sistema di potere, a Bologna, è lo stesso da trent’anni).

Purtroppo, però, queste pulsioni ribelliste vanno ben al di là dei confini della mia città sfociando, talvolta, in veri e propri episodi di violenza, quantomeno nelle intenzioni.

Si veda il caso che ha coinvolto Daniele Capezzone, al quale alcuni studenti della Sapienza volevano impedire di parlare al grido di “Fuori i fascisti dall’università”. Come tutti sanno, Capezzone non è fascista. In compenso, loro sono e rimarranno sempre illiberali.

Sempre a Roma, presso la sede di Gioventù Nazionale, in via Sommacampagna, cinque militanti di destra sono stati aggrediti da sessanta di sinistra. Già, avete letto correttamente: sessanta contro cinque. Coraggiosi, questi ragazzi!

Un clima infame

Tre eventi collegati fra loro da un filo rosso: la demonizzazione incessante promossa dalla sinistra nell’arco della campagna elettorale.

Le accuse di fascismo e la negazione di ogni legittimità al centrodestra e in particolar modo a Fratelli d’Italia — che ha conquistato il 26 per cento dei consensi — hanno dato vita ad un clima infame, da anni di piombo, fedele allo schema amico-nemico, in cui chi non la pensa in un certo modo viene automaticamente etichettato come reazionario, come avversario della democrazia.

La solidarietà ipocrita

Sfortunatamente, ad alimentare la tensione culminata nell’episodio di ieri, ha contribuito anche chi oggi esprime solidarietà a Giorgia Meloni. Ed è qui che emerge il grande paradosso su cui il Pd e i suoi alleati dovrebbero interrogarsi con onestà intellettuale (il nostro è più un auspicio che una previsione).

Se la premier risponde davvero all’immagine che le è stata cucita addosso dalla sinistra politica e mediatica (“fascista, razzista, xenofoba…”), che senso ha esprimerle solidarietà come hanno fatto alcuni esponenti Dem? Forse sarebbe meglio se tutti — soprattutto l’opposizione — si impegnassero ad alleggerire il clima e a stemperare la tensione. Per evitare che gli errori e gli orrori passati si ripetano nel presente.

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