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Navi ong, ecco perché il governo italiano ha seguito le norme in modo lineare

Intervista a Giuseppe Loffreda: “place of safety” più vicini dei porti italiani e le richieste di asilo possono essere inoltrate anche a bordo delle navi ong

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È legittimo vietare l’ingresso nelle acque nazionali alle navi ong con a bordo i migranti? E che cosa si intende per “porto sicuro”? Ha risposto alle domande di Atlantico Quotidiano l’avvocato Giuseppe Loffreda, marittimista, secondo cui le richieste di asilo possono essere inoltrate anche a bordo della stessa imbarcazione.

Applicate le norme

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO: Avvocato Loffreda, può esprimerci una sua considerazione in merito alle modalità di trasporto e sbarco dei migranti da parte delle ong? Dal punto di vista giuridico, della normativa marittima, come potremmo definire tale gestione?

GIUSEPPE LOFFREDA: In primis affermerei che il governo italiano si è fatto rispettare, perché nel settore del fenomeno migratorio ha seguito in maniera lineare le norme e le procedure dettate dalle leggi nazionali e internazionali applicabili.

Infatti, consultando le fonti si riscontra chiaramente che l’art. 1 comma 2 del decreto legge del 21 ottobre 2020, n. 130, dichiara che:

… per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, paragrafo 2, lettera g), della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, con allegati e atto finale, fatta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, resa esecutiva dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689, limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, il ministro dell’interno, di concerto con il ministro della difesa e con il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, e previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri, può limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale. Non trovano comunque applicazione le disposizioni del presente comma nell’ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare, emesse in base agli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare nonché dello statuto dei rifugiati fermo restando quanto previsto dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria. Nei casi di inosservanza del divieto o del limite di navigazione stabilito al periodo precedente, si applica l’articolo 1102 del regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 e la multa è da euro 10.000 ad euro 50.000.

Nel caso di alcune navi ong di cui si parla in questi giorni, il nostro ministro dell’interno ha riscontrato che le stesse non avrebbero operato comunicando le operazioni di soccorso al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera, operando fuori dalla zona e dal regime di SAR.

In ragione di ciò, Piantedosi ha adottato nei confronti di queste navi le misure di divieto di accesso nelle nostre acque territoriali, in quanto ritenuto fuori dalla zona SAR e non inoffensivo, onde evitare di violare la legge italiana e internazionale.

Siamo tutti d’accordo sulla necessità di proteggere e salvare vite umane, ma dobbiamo al tempo stesso chiarire che la gestione del fenomeno migratorio deve necessariamente rientrare nell’ambito, nei termini e nei limiti di una regolamentazione esistente, che va applicata.

Divieto di ingresso

TADF: Dal punto di vista legale, sarebbe dunque legittimo impedire alle navi di entrare nelle acque territoriali nazionali? Come comportarsi in caso di disobbedienza?

GL: Assolutamente sì! L’ordinamento consente chiaramente al nostro Stato di impedire alla nave di entrare nelle nostre acque. In caso di mancato rispetto del divieto e, dunque, della legge, è prevista una sanzione economica che va dal minimo di 10 mila euro al massimo di 50 mila euro, oltre alla applicazione dell’art. 1102 cod. nav.

I “porti sicuri”

TADF: Quali soni i criteri tecnici per il riconoscimento di un “porto sicuro”? I porti tunisini o libici perché non possono essere considerati tali?

GL: Anzitutto è bene premettere che non di “porto sicuro” si parla ma di “place of safety”, che in quanto “place” può essere qualsiasi luogo. Il principio generale indica il place of safety (Pos) come quello più vicino al punto di soccorso della nave.

Possono quindi esserci posti sicuri anche molto più vicini di quelli italiani, perfettamente adeguati per far sbarcare i migranti o i naufraghi. Ad esempio, rispetto alla Libia i posti più vicini sarebbero quelli della Tunisia. Anche se segnalo, al riguardo, la recente pronuncia del Tribunale di Cagliari (3 novembre 2022).

Richieste d’asilo a bordo?

TADF: Ha recentemente affermato che le richieste di asilo si potrebbero avanzare pur essendo ancora a bordo delle navi, senza dover necessariamente sbarcare. Può spiegarci cosa afferma il diritto in materia?

GL: La nave può e dovrebbe essere un luogo in cui trovi applicazione il regolamento di Dublino, in merito alle richieste di asilo. Il comandante, in quando pubblico ufficiale del Paese che espone bandiera della nave, può ricevere la dichiarazione preliminare o introduttiva del regime di asilo da parte dei migranti a norma dell’art. 13 del Regolamento di Dublino, stante l’art. 94 della UNCLOS applicabile anche a bordo delle navi ong.

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