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Per non sprecare l’occasione il centrodestra deve evitare autogol

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Alla fine è andata nel modo meno previsto. Quasi tutti eravamo già pronti al bis di Mario Draghi o, comunque, ad una “soluzione” utile a sbarrare la strada alle elezioni anticipate. Il coro pro-Draghi, più di establishment che di popolo, cantava determinato e a squarciagola le proprie litanie, e sembrava impossibile riuscire ad abbattere il muro eretto da quei poteri, politici e non solo, che solitamente preferiscono eludere il giudizio degli elettori. Invece, tra poche settimane, saremo chiamati al voto per dare, si spera, un nuovo governo all’Italia.

A sentir parlare i fuoriusciti forzisti, come Mariastella Gelmini e Renato Brunetta, sembrerebbe che Draghi sia stato accompagnato alla porta soltanto dalla irresponsabilità di Forza Italia e Lega, concentrate ormai, secondo i draghiani, ad inseguire il populismo di Giorgia Meloni. Sarà, ma il premier, durante i suoi interventi in Parlamento, non si è certo sforzato di restare in sella.

Mario Draghi è forse meno draghiano di coloro i quali corrono adesso ad intestarsi la fantomatica agenda Draghi, infarcita più di retorica che di sostanza.

Sondaggi favorevoli

In ogni caso, almeno per il momento le logiche naturali della democrazia hanno avuto la meglio su quelle opache di palazzo. Il centrodestra è dato per favorito. In effetti, tutti gli istituti di ricerca registrano una grande avanzata del partito di Giorgia Meloni, che potrebbe diventare la forza trainante della coalizione, ma anche la Lega, pur avendo perso del consenso, viene vista ancora come un raggruppamento forte di una percentuale a due cifre. E Forza Italia tiene, non scendendo mai sotto al 7 per cento.

Si tratta di sondaggi, ovviamente fallaci, ma il margine di errore si riduce se un certo scenario viene certificato alla stessa maniera da più fonti.

Insomma, Meloni, Salvini e Berlusconi potrebbero vincere le elezioni e formare un governo finalmente politico, senza la necessità di alleanze forzate ed innaturali come quella gialloverde né di ricorrere ad ammucchiate, usando l’unità nazionale come pretesto.

A sinistra un insieme di debolezze

Il centro distinto da Forza Italia e la sinistra hanno molti protagonisti in più rispetto al centrodestra, ma si tratta di un insieme di debolezze. Il Partito democratico ha dovuto dire addio al cosiddetto “campo largo” con il Movimento 5 Stelle, che, a sua volta, sembra destinato all’isolamento e ad un ruolo di testimonianza.

Centro stampella del Pd

Il centro pullula di primedonne, come Matteo Renzi e Carlo Calenda, le quali amano più dettare legge che ragionare su possibili compromessi, e le alleanze in cui vi siano personaggi come i leader rispettivamente di Italia Viva e di Azione, sono sempre a rischio di veti incrociati e di fulminei colpi di mano.

È un centro destinato, volente o nolente, a divenire stampella del Pd e a ricevere al suo interno “profughi” di centrodestra decisi a terminare la loro carriera politica a sinistra. Si sa, chi parte da destra per giungere nei dintorni del Nazareno o, comunque, per esserne in qualche modo funzionale, non ottiene mai grandi riscontri elettorali, e possiamo ricordare, fra i tanti, Angelino Alfano e Gianfranco Fini.

Nonostante la loro sicumera questi neo centristi, comunque provenienti dal medesimo mondo di Enrico Letta, se non vogliono avere nulla a che fare con la destra, a loro dire, sovranista e populista, devono per forza chinare il capo di fronte al Partito democratico.

Il feticcio dell’agenda Draghi

L’ipotetico grande federatore del loro agognato centro, Mario Draghi, oltre ad aver dovuto abbandonare Palazzo Chigi, non sembra più interessato alla politica spicciola, l’involuzione proporzionalistica è al momento rimandata, e si voterà con il Rosatellum, che, pur fra tante contraddizioni, spinge i partiti a coalizzarsi. La cosiddetta agenda Draghi, senza la presenza nell’arena politica del premier uscente, rimane un feticcio.

Occhio agli autogol

Quindi, il centrodestra, viste le debolezze altrui, potrebbe camminare spedito in questa che è una delle più brevi campagne elettorali della storia italiana. Senza alcun complesso di inferiorità e preoccupandosi solo fino ad un certo punto dei giudizi, soprattutto dei pregiudizi, degli avversari, i quali già invocano fronti comuni contro il pericolo sovranista.

Da qui al voto vi sarà un accanimento mediatico sempre crescente nei confronti dei leader del centrodestra (Meloni e Salvini in testa), ma male peggiore da cui dovrebbero guardarsi è quello autoinflitto. Salvini e Meloni in particolare dovrebbero stare attenti a non farsi del male da soli.

Dal vertice il centrodestra è uscito compatto e senza alcun distinguo significativo. Questo è un bene, ma sarà stata fatta, nel frattempo, una riflessione profonda su quanto avvenuto durante l’elezione del presidente della Repubblica e la riconferma di Sergio Mattarella? Allora, ce lo ricordiamo bene, calò letteralmente il gelo fra Meloni e Salvini, una spaccatura da chiarire prima che sia foriera di tensioni future, magari quando ci si ritrova insieme al governo del Paese.

Tutti e tre i principali attori del centrodestra dovrebbero fare esercizio di umiltà, non tanto verso l’esterno, ma fra di loro. Fratelli d’Italia ha il vento in poppa e la sua leader, Giorgia Meloni, fa benissimo a coltivare le proprie legittime ambizioni, ma senza dimenticare gli equilibri che saranno necessari per vincere e governare.

Matteo Salvini fare tesoro della serie considerevole di errori recenti, dalla riconferma di Mattarella al Quirinale alla figura barbina in Polonia, passando per le ambiguità sul regime sanitario e la guerra in Ucraina. Silvio Berlusconi dovrebbe rendersi conto che è finito il tempo dei predellini e degli annunci sensazionali.

Un programma di governo

Tutti e tre dovrebbero lavorare ad un programma non solo elettorale, ma davvero di governo. Pochi e chiari punti che consentano al centrodestra non solo di vincere le elezioni, ma di governare poi per un intero mandato, e di farlo incidendo con i propri programmi e distinguendosi così dal paternalismo inefficiente e costoso delle sinistre, oltre che dall’immobilismo dei centristi.

Il centrodestra a trazione berlusconiana ebbe la meglio in più tornate elettorali, ma la sua azione di governo si è rivelata spesso poco incisiva rispetto a quella del centrosinistra prodiano e ulivista. Bisogna evitare di ripetere quegli errori.

E oltre all’umiltà, serve sincerità. Gli elettori, che sono più maturi di quanto la politica pensi, non si aspettano la rivoluzione in una settimane, perché sanno che l’Italia si porta dietro da decenni un fardello di problemi irrisolti, ma sono sempre più severi, giustamente, circa le promesse elettorali che poi non vengono mantenute.

Vista la complessità di questo Paese, più maltrattato che ben gestito dai vari governi, è auspicabile procedere a piccoli passi, ma senza tornare mai indietro, invece di lanciarsi in fughe in avanti salvo poi dover fare delle retromarce imbarazzanti.

I punti essenziali di un programma di governo di centrodestra non possono che essere le riforme politiche (presidenzialismo e rafforzamento del bipolarismo), le riforme economiche, necessarie per snellire e rendere efficiente la macchina statale con inevitabili ricadute positive sulla libertà d’impresa e sui lavoratori.

Non ci possono essere dubbi sulla scelta di campo occidentale e atlantica. Se è vero che si può anche in buona parte ignorare chi alimenta strumentalmente lo spauracchio della destra sovranista e putiniana, è tuttavia opportuno non offrire argomenti ad un certo tipo di propaganda.

Con il centrodestra a Palazzo Chigi gli italiani non dovrebbero subire più la mortificazione delle libertà, personali ed economiche, patita durante la pandemia e i governi di Giuseppe Conte e di Mario Draghi. Nessuno spazio per scopiazzature del modello cinese.

Il rischio impasse

C’è anche il rischio, tuttavia, che si ripresenti un risultato simile a quello del 2018, senza alcun vincitore certo. C’è chi spera in una nuova impasse così da propinare al Paese l’ennesimo governo eterogeneo e magari guidato da un nuovo “salvatore della patria”, ma Dio ce ne scampi e liberi.

Molto dipenderà da come Meloni, Salvini e Berlusconi avranno giocato le loro carte in campagna elettorale e dalla sincerità o meno del loro accordo.

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