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La foto simbolo di una Francia, e un’Europa, già sottomesse: mentre ci censuriamo da soli, l’islam radicale gongola

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Mai avrei pensato in vita mia di dover vedere e commentare una foto orrenda, oscena, ingiustificabile come questa, e per la quale sono stato bannato tre giorni da Facebook. Nel post scrivevo esattamente ciò che scrivo anche in questo articolo. L’Europa, la Francia in particolare, è ormai assoggettata all’islamismo. E il mio cuore – a vedere queste povere donne imbacuccate come barbapapà e fiere della loro sottomissione, che dicono ai francesi di andarsene perché quello sarebbe il loro Paese – sanguina. La Francia, purtroppo, è un Paese sull’orlo di una guerra civile, come ci ha ricordato l’ex ministro degli interni Gerard Collomb. Basta vedere ciò che sta succedendo proprio sulla questione del velo, dove uno pseudo comico, in realtà tifoso dell’islam radicale, come Yassin Belatter è arrivato a minacciare apertamente il ministro dell’istruzione Jean-Michel Blanquer reo di aver giustamente detto che le accompagnatrici scolastiche non dovrebbero portare il velo. O ancora, le infami accuse mosse allo scrittore Eric Zemmour dalla solita magistratura rossa e filo islamica, o la clamorosa e condivisibile uscita in tv del vicedirettore de Le Figarò, Yves Thréard, che ha detto che è arrivato a detestare l’islam a tal punto che quando vede una donna velata salire sul bus lui scende.

Insomma, il dibattito è aperto, gli animi si scaldano, ma a Facebook del ricco e viziato Mark Zuckerberg non piace che si critichino i suoi valori progressisti di riferimento. Un po’ come la recente approvazione della Commissione contro l’odio al Senato, nobilissima negli intenti teorici, un po’ meno in quelli pratici, soprattutto quando si pone l’accento sull’antisemitismo in senso generico e subdolo, senza specificare che, oggi, l’antisemitismo è praticato a maggioranza dagli islamici sparsi in tutto il mondo e purtroppo anche in Europa e meno, molto meno dai residui nazi-fascisti che, per fortuna, continuiamo a contare sulla punta delle dita. Ma si sa, l’antifascismo è stato sempre lo spauracchio per far finta di combattere un fantasma immaginario. Quello stesso fantasma che dietro di sé celava un mostro, che cresceva e si moltiplicava proprio fuori dalle nostre case: il mostro dell’islam radicale. Il mostro con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni, e che ha fatto sì che la sacrosanta critica a una foto come questa, che chiamo foto dell’orrore, venisse censurata.

E allora qui pongo un’altra questione. Non ci sono le condizioni di “mercato” affinché nascano e crescano altri Mark Zuckerberg? Perché non si aprono altri social simili a Facebook, competitor che gli tolgano utenti che si vedono umiliati nella libertà di parola, anche di dire una parolaccia se ne hanno voglia? Le censure si battono col mercato, con le nuove proposte, con la crescita di spazi di libertà. Ho fatto una prova, mi sono iscritto a VK, questo social russo che ormai è diventato l’approdo di tutti i fascio-leghisti italiani scappati dalle censure di Facebook. Da un punto di vista grafico e funzionale secondo me è decisamente migliore. Ma il punto non è questo. Gli scappati dalla casa facebookiana infatti non sanno che VK non era un bastione putiniano. Cioè, forse adesso lo è. Mail.ru se lo è pappato quando il suo fondatore, Pavel Durov, è stato costretto a scappare dalla Russia per le pressioni dei putiniani. Fino al 2014, il governo del “presunto difensore della libertà occidentale”, ovvero Vladimir Putin, aveva cercato in tutti i modi di costringere Durov a cedere informazioni sensibili sugli iscritti a VK, soprattutto durante la crisi ucraina del 2013; e lui non solo si è sempre rifiutato ma è riuscito a resistere. Dopo aver lasciato VK, fuggito in Svizzera, ha fondato Telegram, un sistema di messaggistica simile a WhatsApp ma molto più impenetrabile. Ecco. Se il nostro mondo volesse davvero essere libero, dovrebbe permettere a tanti Pavel Durov di proliferare, svilupparsi, crescere. Invece, si permette che un social network come Facebook, oggi diventato quasi fondamentale per comunicare (è dura da dire ma è così, se ne facciano una ragione i soloni della carta stampata), venga gestito con piglio isterico e dittatoriale da un fighetto quasi millennial (che orrore, i millennial!), la faccia da figlio di papà e il ghigno feroce di chi non ha mai conosciuto le asprezze del popolino che disprezza.

La sua recente audizione davanti al Congresso americano è stata una farsa. Attaccato da destra ma soprattutto da sinistra, lui ha finto di balbettare, di non saper cosa rispondere, in realtà perfettamente consapevole di tenere in scacco milioni di utenti che, in Occidente, non si rendono conto né di cosa sia realmente un mercato libero né che ci sarebbero mezzi molto semplici per far tornare il signor Zuckerberg a leggere i suoi libretti d’amore. Sono i mezzi della libera concorrenza. Invece, di fronte a un censore, i governi occidentali rispondono alla cinese, con altre censure. Con Commissioni contro la libertà di parola, con proposte di legge che vorrebbero schedare gli utenti dei social (la richiesta di dare un documento al momento dell’iscrizione, come in Venezuela). Intanto, di fronte a questo corto circuito antiliberale, l’islam radicale gongola. Non ha nemmeno bisogno di chiederla la censura. Ci pensiamo noi da soli a porgergliela su un piatto d’argento. Fortuna che qualche spiraglio si incomincia a rivedere. Come la nuova copertina di Charlie Hebdo, che postiamo in questo articolo. Dopo il bestiale attentato del 2015, è necessario rialzare la testa. E, soprattutto, dire a gente come Zuckerberg e Alessandra Ocasio-Cortez, a Luigi Marattin e Gabriele Muccino, e compari di censura: non ci fermerete.

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