Si dice che negli affari l’unica opinione che conta è quella del mercato. Nel giornalismo, invece, le cose vanno in maniera diversa: capisci che hai colto nel segno quando il tuo articolo è accolto da un’alzata di scudi dai toni esagerati. Almeno a giudicare dalle reazioni scomposte del Partito Democratico all’azzeramento della US Agency for International Development, l’amministrazione Trump ha colpito un nervo scoperto della sinistra.
Il silenzio dei giornaloni
La conferma ulteriore che si è in effetti preso in pieno uno dei gangli vitali della Morte Nera globalista si ha dalla lettura dei giornaloni italiani e delle trasmissioni che piacciono alla gente che piace: un silenzio di tomba estremamente sospetto.
La speranza di certi “colleghi” è che passi ‘a nuttata e che la complessità della materia agisca da repellente per il lettore medio, che nemmeno si rende conto come quell’agenzia che, fino a pochi giorni fa, conoscevano solo gli esperti di cose americane sia stata strumentale nell’esproprio delle nostre libertà e nella costruzione del groviglio infernale che sta cercando di ridurci in schiavitù.
Una volta questa congiura del silenzio sarebbe riuscita ad insabbiare una notizia scomoda, di quelle che rovinano per sempre reputazioni e scoprono gli altarini dei potenti. Peccato che nel 2025 il potere e l’influenza dei media legacy sia ai minimi storici, come la fiducia che in essi ripone il pubblico.
Molto peggio di Tangentopoli
Se è fin troppo facile farsi irretire dall’assoluta idiozia di alcuni dei programmi finanziati da questa agenzia, la sostanza di questo scandalo è ben più grave. Non si tratta di semplice corruzione, distrazione di fondi estratti a forza dalle tasche dei contribuenti americani e distribuiti ai soliti amici degli amici.
Lo scopo fondamentale della USAID, almeno dal 2012 in avanti, è stato di finanziare quello che molti in America chiamano il censorship industrial complex, una rete di ong, centri studi e giornalisti prezzolati che chiedono a gran voce sempre più censura per cancellare le voci contrarie al pensiero unico progressista.
Come scritto a suo tempo da Saul Alinsky, icona della sinistra estrema americana e dello stesso Barack Hussein Obama, non c’è modo migliore di usare le risorse del sistema per abbatterlo dall’interno. Non siamo di fronte ad una Tangentopoli all’ennesima potenza ma al ganglio vitale di un sistema infernale che da anni lavora per la distruzione totale della cultura occidentale, degli stati nazionali, per spianare la strada ad un totalitarismo tecnocratico che farebbe rabbrividire lo stesso Orwell.
Senza bisogno di ripercorrere le vicende italiane, lo scopo fondamentale dietro al sistema di tangenti che sosteneva i partiti della Prima Repubblica era quello di finanziare una rete capillare di controllo sociale da contrapporre a quella del PCI, lautamente finanziato dall’oro di Mosca e dai “contributi” delle cooperative rosse.
Certo, una parte non indifferente del bottino finiva nelle tasche di questo o di quel politico ma lo scopo era comunque fondamentale nel quadro della Guerra Fredda. Faceva parte del gioco ed era tollerato anche dagli stessi americani. Niente a che vedere con il sistema messo in piedi dal deep state, il cui scopo fondamentale è demolire tutto per ricostruire un mondo nel quale, Schwab docet, you will earn nothing and be happy.
Elon Derangement Syndrome
Il livello di meltdown che stanno francamente rendendo ridicoli sia i Democratici che le fin troppe teste vuote che occupano militarmente le redazioni in mezzo mondo è ben oltre i livelli di guardia, il che è prova provata di come non si tratti di semplice corruzione ma di qualcosa di ben più nefasto.
A giudicare dalla narrativa dominante, siamo passati rapidamente dalla Trump Derangement Syndrome alla Elon Derangement Syndrome. Come mai? Perché quelle azioni che fanno perdere la brocca ai sinistrati sono salutate con gioia dai milioni di elettori americani, che chiedevano al presidente di colpire duramente la casta, senza guardare in faccia nessuno.
Come fai ad attaccare un presidente che, per la prima volta, ha un favorability rating positivo, con la media tra i sondaggi misurata da Real Clear Politics ad un +1 (48,5 per cento a favore, 47,5 contrari)? Meglio prendersela con Musk, con i whiz kids poco più che ventenni che ha sguinzagliato nella Beltway, pubblicando i loro indirizzi ed invitando più o meno apertamente a fargliela pagare.
Ogni volta che Chuck Schumer o Elizabeth Warren, swamp creatures che hanno più scheletri nell’armadio di Dracula, gridano che “nessuno ha votato per Musk”, molti sono pronti a ricordare come le azioni del DOGE siano esattamente quello che era stato annunciato a suo tempo in campagna elettorale. La presenza di Musk, come di RFK Jr e Tulsi Gabbard, al fianco di Trump è stata secondo molti analisti la spinta finale che ha riportato Trump alla Casa Bianca.
Democratici allo sbando
Gli spin doctors democratici sono di fronte ad un problema irrisolvibile: come fai a convincere la gente a difendere sprechi miliardari e montagne di soldi che finiscono, in un modo o nell’altro, nelle tasche dei Democratici quando tutti ne hanno piene le tasche del mangia mangia della Beltway?
Cosa gli rimane? Battaglie di retroguardia, annunci ridicoli come quello dell’ennesimo impeachment o veri e propri autogol come quello del giudice che ha bloccato l’ordine esecutivo col quale Trump aveva ordinato di rimuovere i trans dalle prigioni femminili. Non solo non servirà che a rallentare l’implementazione di questa policy ma non farà che far imbufalire ulteriormente quelle donne per le quali la protezione degli spazi ad esse riservate è una questione sempre più importante.
Senza considerare che gran parte degli americani ne ha le tasche piene dell’uso strumentale della giustizia, il cosiddetto lawfare, specialmente quando la “piccola” criminalità sta dilagando a macchia d’olio. Come mossa della disperazione, alcuni membri senior del Congresso hanno provato a fare irruzione nel Department of Education, che dovrebbe essere il prossimo bersaglio del DOGE, per fare non si sa esattamente cosa.
Un partito che sembra a questo punto totalmente allo sbando, che sta sul ring come un pugile suonato, incapace di difendersi e pronto a finire al tappeto.
La fonte di ogni male? Quasi
La parabola della US Agency for International Development (USAID) sembra fare il paio con quella dell’intera sinistra mondiale. Fondata nel 1961 come parte del Foreign Assistance Act, legge passata dal Congresso per contrastare l’influenza sovietica nel cosiddetto terzo mondo, questa agenzia ha funzionato per anni come strumento di soft power per portare avanti in tutto il mondo gli interessi ed i valori degli Stati Uniti.
Con gli anni lo scopo è passato dalla risposta ai disastri naturali, la lotta alla denutrizione e le iniziative sanitarie ad obiettivi decisamente più fumosi come la collaborazione culturale o la promozione dei valori americani nel mondo. La burocrazia permanente, poco alla volta, ha introdotto una serie di valori che non hanno niente a che fare con la Costituzione americana, dall’ambientalismo in salsa net zero alla religione laica del gender fino al marxismo vero e proprio della critical race theory.
Invece di affrontare problemi seri con soluzioni pratiche, i circa 50 miliardi di dollari del bilancio annuale dell’agenzia sono stati dirottati in modo più o meno truffaldino su una lunga lista di operazioni che portano avanti una visione del mondo ben precisa, ovvero quella dell’idra globalista alla Davos.
Tra quello che è stato scoperto dal DOGE c’è davvero di tutto; 15 milioni per preservativi da dare ai Talebani, 446.000 dollari per promuovere l’ateismo in Nepal (Paese che, tra parentesi, ha enormi problemi con le milizie maoiste), i 350 milioni di dollari per un molo provvisorio a Gaza (chissà come mai), 425.000 dollari all’anno per aiutare le ditte di caffè dell’Indonesia a diventare più gender-friendly (in un Paese fortemente islamico? Auguri) ai milioni passati alla EcoHealth Alliance, sponsor delle ricerche portate avanti dal laboratorio di Wuhan (un altro caso, chiaramente) fino alle centinaia di milioni spese per facilitare la coltivazione del papavero da oppio in Afghanistan.
La ciliegina sulla torta? Milioni di dollari per migliaia di pasti caldi pagati dal contribuente ma finiti, ancora una volta per puro caso, nelle mani di milizie affiliate ad Al-Qaeda in Siria. Dalle charities cattoliche che ricevevano fondi per ogni criminal alien fatto entrare negli Stati Uniti alle operazioni di destabilizzazione portate avanti in tutto il mondo, questa agenzia nata dall’ottimismo della Camelot kennediana sembra essersi trasformata nella fonte di ogni male.
USAID non si occupa di aiuti umanitari
La risposta dell’amministrazione Trump alle scoperte del DOGE è stata tanto rapida quanto stupefacente: visto che l’agenzia non si può chiudere che con un atto del Congresso, si è preferito fonderla con il Dipartimento di Stato, licenziando tutti i circa 10.000 dipendenti tranne 294 che manterranno in vita la struttura dopo che è stata del tutto svuotata. Molti di questi dipendenti non hanno tardato a denunciare il governo, chiedendo che il licenziamento venga cancellato ma, considerato che l’azione è stata autorizzata dal presidente, capo dell’esecutivo al quale l’USAID fa riferimento, le speranze sono poche.
Tra le persone più contente di questa mossa è sicuramente Mike Benz, giornalista indipendente e fondatore della Foundation for Freedom Online, che da circa 10 anni si occupa di sviscerare come l’USAID è diventato la chiave di volta del sistema di destabilizzazione globale che ha l’obiettivo principale di distruggere l’Occidente.
Con la scusa degli “aiuti umanitari”, il soft power americano ha abbandonato progressivamente ogni illusione di lavorare per migliorare la vita delle popolazioni svantaggiate, preferendo alimentare coi soldi dei contribuenti il sottobosco di ong, think tank e centri studi che forniscono munizioni ai politici democratici. Come dice Benz in un video su X, di cui ampi stralci sono riportati su Real Clear Politics, USAID non è una charity, non ha niente a che vedere con gli aiuti umanitari.
Il bilancio di quest’agenzia è superiore a tutte le altre entità dei servizi di intelligence, che tutte insieme hanno a disposizione 72 miliardi contro i 50 di USAID. Quest’agenzia è un battitore libero, i cui fondi vengono allocati per appoggiare talvolta le questioni di sicurezza proposte dal Pentagono, talvolta gli interessi nazionali del Dipartimento di Stato o le operazioni clandestine dell’intelligence.
La montagna di soldi di cui l’USAID dispone viene usata in maniera quasi mafiosa, specialmente quando si tratta di influenzare istituzioni formalmente indipendenti. Quando gli agenti dell’USAID si presentano ad istituzioni religiose fanno capire subito come quell’assegno pesante che gli sventolano davanti agli occhi sia legato direttamente alla promozione di ideologie, dal gender al green, che hanno zero a che fare con il Vangelo.
Altre volte, invece, regalano centinaia di milioni ad organizzazioni come la Open Society Foundation di George Soros, vera e propria Spectre che finanzia ogni estremista di sinistra in tutto il mondo.
“Inganno sociale su larga scala”
Nel caso dei media la situazione è ancora più subdola: comprare centinaia dei costosissimi abbonamenti proposti alle istituzioni da testate come Politico o Bloomberg non è tecnicamente un reato ma fornisce ai politici un’arma di pressione estremamente potente. Se non ci trattate coi guanti bianchi, questi soldi potrebbero sparire, roba che sembra tratta dalla sceneggiatura del Padrino.
Altre volte, invece, i dettagli di questi contributi fanno cadere le braccia: a questo link trovate i dettagli del contratto che lega il DARPA, la Defense Advanced Research Project Agency, con una controllata della Reuters, la Thomson Reuters Special Projects: 9,1 milioni di dollari all’anno per quattro anni, cifra niente affatto disprezzabile specialmente nel mondo delle news, settore dove non perdere decine di milioni all’anno è considerato un successo.
Cosa c’entra la Reuters col DARPA, che di solito si occupa di finanziare e testare armi ad alta tecnologia per le forze armate Usa? Poco o niente, verrebbe da dire ma la giustificazione del contratto fa rabbrividire: la Reuters dovrebbe occuparsi di “active social engineering defense” e, soprattutto, di “large scale social deception”: inganno sociale su larga scala.
Il contratto avrebbe dovuto essere operativo dal 28 luglio 2018 al 29 maggio 2020 ma, magari perché era in corso un certo evento pandemico per il quale esperti in “large scale social deception” potevano tornare utili, è stato esteso al 29 novembre 2022. Nel 2018 al potere c’era ancora Trump ma l’USAID faceva finta di niente, portando avanti una politica che non ha niente a che fare con gli obiettivi dell’amministrazione.
Sembra chiaro che stessero sempre lavorando per il sistema di potere del Deep State: fornire così tanti soldi non può che distorcere la copertura di eventi che potrebbero risultare imbarazzanti per un’amministrazione “nemica”.
Media arma impropria contro la libertà
Se fino al 2016 l’obiettivo dell’USAID nei confronti dei media è sempre stato di proteggere e finanziare le voci indipendenti e contrastare le menzogne dei regimi totalitari avversari, l’elezione di Trump ha cambiato radicalmente la politica dell’agenzia.
Da quel momento ogni sforzo è stato speso nel finanziare ong, think tank o direttamente giornalisti per promuovere in Europa e non solo l’adozione di politiche censorie volte a limitare l’avanzata di partiti della cosiddetta destra populista.
Mike Benz ha sviscerato nei suoi articoli un documento interno prodotto per l’USAID e diretto ai media che ricevono i loro finanziamenti, oltre 700 organizzazioni che coinvolgono più di 6.000 giornalisti. Il Disinformation Primer, pubblicato nel febbraio 2021, parla chiaramente di strategic silence, la pratica di sopprimere narrative scomode, limitando la libertà di parola per il “bene comune”.
In cambio dei soldi dei contribuenti americani, l’USAID chiedeva di falsare il dibattito pubblico, cancellando le storie inopportune e spingendone altre ma, soprattutto, di coordinarsi tra di loro per lavorare assieme. L’obiettivo, più o meno dichiarato, era di incoraggiare l’autocensura tra i giornalisti, scoraggiando il giornalismo investigativo o reportage che potrebbero causare problemi.
A complicare ulteriormente questo patto scellerato, l’impegno di lavorare assieme per fare pressione sulle aziende che controllano i social media per sopprimere il dissenso online e rendere persona non grata chiunque vada contro alla narrativa dominante.
Il risultato? Campagne di pressione organizzate ad arte per colpire gli inserzionisti di questo o quel sito, richieste di debanking o addirittura di licenziare chiunque si metta di traverso, tutto operato sotto l’ombrello di testate (una volta) prestigiose. L’errore più grave di questa vera e propria organizzazione a delinquere? Provare a far fuori uno come Elon Musk, che se l’è ovviamente legata al dito e si sta prendendo la sua rivincita.
Quale futuro per i media?
A parte la domanda che tutti noi giornalisti italiani ci facciamo, ovvero sapere chi in Italia riceveva i soldi da USAID, la questione è un’altra, forse molto più seria. Dopo aver dimostrato che troppi tra i media legacy hanno accettato di tradire il contratto che lega ognuno di noi coi suoi lettori per i proverbiali trenta denari d’argento, che futuro potranno mai avere?
Da anni la fiducia nei media tradizionali è ai minimi storici, con le nuove generazioni che si rivolgono sempre di più ai new media che si esprimono principalmente su piattaforme come YouTube, Twitter/X e perfino TikTok per informarsi sul mondo che ci circonda. Se è chiaro che basta far arrivare abbastanza soldi per comprarsi una copertura positiva, chi potrà più fidarsi della parola di queste testate storiche?
Una volta distrutto l’immenso capitale di credibilità del quale disponevano, sono ormai diventate l’ombra di sé stesse, del tutto irriconoscibili. Considerato che faccio questo mestieraccio dal lontano 1990, permettetemi di preoccuparmi per la professione alla quale, nel bene o nel male, ho dedicato la mia vita.
Chiunque tenga al futuro dell’Occidente e alla difesa delle libertà per le quali i nostri nonni hanno sacrificato tutto, non può che rallegrarsi del crollo di questa corrotta, malevolente, infinitamente dannosa agenzia che ha finanziato il peggio del peggio, gente che non sogna altro che di danzare sulla tomba di ognuno di noi.
L’azione di Trump è stata violenta, il taglio del nodo gordiano, ma avrà sicuramente tolto soldi ad operazioni del tutto meritorie, a partire dai coraggiosi colleghi che provano a fornire notizie affidabili a chi vive sotto un regime totalitario. La domanda delle mille pistole rimane sempre la stessa: una volta che i media legacy saranno smascherati per i cialtroni corrotti che sono e finiranno nel proverbiale portacenere della storia, che forma prenderà l’informazione?
Chi avrà la forza di costruire un sistema alternativo in grado di resistere ai ricatti dei potenti e difendere l’interesse dei cittadini, tornando a fare il proprio mestiere, ovvero il cane da guardia della democrazia? Elon Musk dice che il futuro è dei citizen journalists, che “i media siamo noi”.
Cose del genere le può dire solo chi non abbia mai provato a tradurre in termini comprensibili una realtà orrendamente complessa che rifiuta di esser ridotta al minimo comun denominatore. In un modo o nell’altro, quei giornalisti con la schiena dritta che hanno rifiutato di firmare quel patto scellerato e si sono ritrovati fuori dal sistema dovranno ripartire da zero e riconquistare la fiducia dei cittadini. Visto quel che è successo, non sarà affatto facile.