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Decreto dignità, perché mortifica il lavoro. Una storia vera

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Vi racconto un caso concreto, omettendo nomi e cognomi, sullo sfascio che comporterà il decreto dignità, appena pubblicato in gazzetta ufficiale. Siamo in Veneto. È, come va di moda dire oggi, ci troviamo in una start up. Dietro nomi buoni e volenterosi dell’imprenditoria nazionale, che svolgono anche altre attività. Hanno costituito un’azienda che produce componenti elettronici. Oggi fondamentali per l’industrializzazione 4.0 non solo delle nostre aziende, ma di quelle di tutto il mondo. Insomma, un bel mercato.

Parliamo, per ora, di numeri piccoli. L’anno scorso, l’azienda di cui parliamo, ha fatturato circa un milione di euro, registrando una piccola perdita. Quest’anno è arrivato il pareggio con il raddoppio dell’attività. Il trend di crescita è fortissimo. In due anni la piccola azienda manifatturiera ha realizzato una quindicina di assunzioni. Tutte a tempo indeterminato. Operai specializzati, fanno girare macchine a controllo numerico, amministrativi, vendite e poco altro. Più i soci dell’azienda.

Verrebbe da dire una storia tipica: ce ne fossero, verrebbe da aggiungere, in tutta Italia. Ebbene da sei mesi, la nostra piccola impresa ha in fabbrica due operai specializzati a tempo determinato. Nessun problema, direte voi. Il decreto dignità prevede che si possano rinnovare fino al 24simo mese, un anno tondo in meno rispetto alla vecchia legge.

Il problema è che l’azienda non riusciva a trovare operai così specializzati nel comune, piccolo, dove aveva sede. Si è così rivolta ad un ufficio di collocamento privato, un’agenzia interinale. In poco ha trovato due operai specializzati che potevano andare bene. Contratto da 1600 euro al mese, netti anche della commissione dell’agenzia.

L’azienda assume così questi due lavoratori a tempo determinato, forniti dall’agenzia, e per sei mesi tutto fila regolare. Fino ad un paio di giorni fa. I soci dell’azienda ricevono una chiamata dall’agenzia interinale che consiglia di interrompere il rapporto di lavoro con i due operai.

Il motivo è semplice: è vero che sono solo da sei mesi in quell’azienda, ma hanno avuto rapporti con l’agenzia di lavoro interinale da più di due anni. E dunque potrebbero fare causa all’impresa, presso la quale oggi lavorano, per essere assunti a tempo indeterminato. L’imprenditore, che in altre aziende del gruppo, ha il 90 per cento di indeterminati, aveva bisogno di più tempo per capire il mercato e il funzionamento della sua struttura operativa e dunque si vede costretto a mollare il colpo. Un paradosso, nonostante siano stati impiegati dalla start up solo per sei mesi, la legge generale e astratta legge solo la circostanza che i due operai hanno avuto contratti a tempo superiori a due anni dalla medesima agenzia di lavoro.

Vi sarebbe un escamotage, come sempre in Italia. Tenere a casa i due operai specializzati per qualche settimana e riprenderli attraverso una diversa agenzia interinale. Vi sembra dignitoso tutto questo ambaradam? Un imprenditore può pensare a come aggirare norme assurde fatte per rendergli la vita sempre più difficile?

A ciò, aggiunge il nostro amico imprenditore, si somma la follia dei tre causali. Non una: ci sono ben tre motivi che si devono indicare sul rinnovo del contratto dopo i primi dodici mesi. Pena la trasformazione del contratto da termine ad indeterminato. Si tratta di trovare una prova diabolica, ci dice sconsolata la nostra fonte. “voglio assumere, l’ho sempre fatto, ma pretendo la libertà di farlo con chi scelgo io, e non obbligato da una sentenza di un giudice”.

Ps È molto difficile che i nostri parlamentari leghisti oggi al governo leggano questo articolo. Hanno molto da fare, come tutti i politici. Ma qualche imprenditore e qualche lavoratore perda un po’ di tempo per spiegare al suo parlamentare di fiducia cosa avverrà concretamente con il decreto dignità. Racconti loro cosa vuol dire ingessare il mercato del lavoro. E già che ci sono, anche se è un fuori tema, faccia sapere a loro cosa ha comportato per il nostro made in italy, ll tanto odiato trattato Ceta: un incremento del 12 per cento delle nostre vendite agroalimentari in Canada. Confagricoltura lo sa: i nostri rappresentanti al governo pure? O come per il decreto dignità, sono abbagliati da un obiettivo sbrillucicante più che dall sostanza delle cose?

Nicola Porro, Il Giornale 14 luglio

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