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Draghi non faccia la fine del marziano a Roma

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Va bene la sobrietà, va bene l’umiltà, e figurarsi se non vanno bene i toni misurati nella comunicazione e il rispetto del Parlamento e delle forze politiche. Ma forse non bisogna esagerare. Siamo pur sempre a Roma e in Italia, e la storia e la geografia contano. Altro che!

Il rischio per Mario Draghi, se tergiversa ancora, e se non batte un colpo e riconquista la scena che Speranza e gli altri vorrebbero riprendersi tutta per sé (e il famigerato ministro della Salute c’è già quasi riuscito), è che alla fine la sua parabola assomigli a quella di Kurt anche nell’epilogo. Chi fosse Kurt, Draghi, che ha anche una buona cultura umanistica, certamente lo sa, anche se forse lo ha rimosso. Era un alieno proveniente dal pianeta Marte concepito dalla fantasiosa e geniale penna di Ennio Flaiano nel 1954, quando il futuro presidente della Banca centrale europea, che è del 1947, aveva appena iniziato le scuole elementari. Il “marziano a Roma” era atterrato con la sua aeronave una domenica pomeriggio a Villa Borghese, nel prato del galoppatoio, all’improvviso e inaspettato, proprio come è accaduto a Draghi quando, ormai quasi un mese fa, fu chiamato da Sergio Mattarella a cercare di riparare agli errori di quello che era stato forse il più inetto governo repubblicano del dopoguerra.

L’accoglienza del “marziano” Kurt, al pari di quella dell’alieno Draghi, fu a dir poco gioiosa da parte di tutti, che attorno al suo nome ritrovarono una parvenza di unità comunitaria. “La gioia, la curiosità – scrive Flaiano – è mista in tutti ad una speranza che poteva sembrare assurda ieri e che di ora in ora si va invece facendo più viva. La speranza”, virgoletta il grande scrittore, “che tutto cambierà”. Il racconto, che fece poi da sceneggiatura sia a un’opera teatrale sia a un film, ci dice, con mille gustosi episodi dell’immortale teatrino italico, come questa speranza crebbe sempre più nei giorni successivi: il povero marziano, mite e portato all’ascolto, non sapeva più a un certo punto “a chi dare i resti”, come si dice a Roma. Politici, prelati, pennivendoli, puttane, tutti se lo contendevano.

E lui non sapeva dire no, e al massimo si trincerava nel riserbo. Solo che ascolta oggi, ascolta domani, l’effetto novità svanisce presto e i romani, che tante ne hanno viste dai barbari ai Barberini, dalle dissolutezze tardo-imperiali a quelle papali, si abituano pure al marziano. Lo inglobano nel paesaggio umano, cominciano ad ignorarlo, riacquistano quel senso di distanza e cinico disincanto che porta a vivere alla giornata e a non più coltivare nessuna speranza. Perso il momento magico, quello in cui il marziano avrebbe potuto tutto con un tocco, perché tutti riflettevano le loro inadeguatezze nello specchio magico che proiettava la sua immagine, invece di perdersi educatamente nell’ascolto, preoccupandosi di non calpestare i piedi a nessuno col suo passo, i romani lo vivono nell’ indifferenza e persino lo ignorano.

A un certo, un ragazzo di strada lo intravede e lo ferma chiedendogli strafottente: “a’ marzià, ma che c’avessi ‘na sigaretta?”. “Come? Ma io sono il marziano!” E l’altro, imperturbabile : “Vabbè! Ma c’avessi ‘na sigaretta?”. Ecco, il consiglio (non richiesto) che diamo a Draghi è di essere più “irrispettoso”, per dirla con Machiavelli, e di cominciare a prendere in mano la situazione prima che sia troppo tardi. Se no, altro che riforme strutturali!

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