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Due casi di censura sui social media

La censura sui social media parte da una fake news: e cioè che per combattere le fake news ci vuole qualcuno che controlli. Le bufale sono sempre esistite e sempre esisteranno: i pettegolezzi sono passati dai bar di paese, dalla bocca di rosa, alle bacheche dei social media.

Nessuno nega l’esistenza delle fake news, ma gli strumenti per combatterle sembrano peggiori del male. Sentite questa.

Ieri Fabrizio de Pasquale, che conosco dai tempi della gioventù liberale pensate un po’ voi, e che oggi è consigliere comunale a Milano per forza Italia ha scritto un pezzullo riguardo all’immigrazione.

Dati alla mano, ha dimostrato che il 64 per cento dei sussidi di povertá a Milano sono erogati ad extracomunitari. È il suo mestiere, fa politica, e di queste cose si occupa da decenni. Per di piú i dati li ha presi dal Comune, non da Babbo Natale. Ebbene Facebook dopo poche ore ha cancellato il suo post dalla bacheca, comunicandogli che la riteneva una fake news, o meglio che “bloccava contenuti che sembrano spam”. Posto che anche un bambino di tre anni avrebbe ccapito che non era una catena di sant’antonio elettronica e tanto più lo deve avere capito il cervellone di facebook che si chiama algoritmo, ci chiediamo cosa sia successo.

Anche se un sospetto lo abbiamo. Non essendo FB in grado di controllare milioni di video e scritti che ogni minuto vengono caricati, deve aver assecondato il suggerimento di qualcuno, che invece di contestare De Pasquale nel merito, lo ho fatto bannare con lo spauracchio delle fake news. Poi grazie alle sue insistenze e rapporti personali Fabrizio è riuscito a disseppellire il suo post.

Resta una questione di principio.

Nel tempo dei social media per essere escluso non si urla piú al presunto fascismo, ma che si grida al “faker”, novella incarnazione del fascista digitale.

Le cose, e lo dico per esperienza personale, non vanno meglio per gli youtubber. Nel mio caso mi sono visto rifiutato la monetizzazione di una serie di video relativi agli attentati islamici realizzati negli ultimi mesi in Europa.

La notazione burocratico digitale è la seguente: “Non abbiamo accettato la tua richiesta di monetizzazione perché i contenuti o i dettagli dei tuoi video potrebbero non essere compatibili con i contenuti degli inserzionisti”

Il titolo del mio video era “Londra e l’incredibile predica di “Avvenire” (20 giugno 2017)”, e vi invito a guardarlo. Quando si parla di terrorismo islamico e quando si prende una posizione netta e magari non in linea a quella dei giornalisti dell’Internazionale, c’è qualcuno che blocca.

Nicola Porro, 23 giugno 2017

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