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Ecco 5 bufale sulla ludopatia

Il decreto dignità cancellerà la pubblicità di giochi e scommesse. Tutti contenti: dal Fatto a Repubblica, dal Corriere della sera all’Avvenire. Persino certi  leghisti. Ma vediamo di smontare alcuni luoghi comuni.

1. La ludopatia è un’emergenza sociale. Può darsi, ma chi lo dice? Anche i morti sulle strade sono un problema (ben superiore) ma nessuno vieta la pubblicità delle auto o di bandire le auto nelle vicinanze delle scuole o degli ospedali. Mettiamo dei limiti, come sul gioco. Ma torniamo ai numeri. Di Maio ha detto che così vuole salvare un milione di famiglie. Ma i dati ufficiali Asl degli ospedalizzati per ludopatie parlano di 7.000 persone. Vabbé, molti – direte – non si riconoscono tali. Come per drogati e alcolisti. I Sert gestiscono (dati vecchi) 160mila tossicodipendenti e l’ultimo rapporto Ipsad sostiene che un italiano su tre (15 milioni di cittadini), ha usato almeno una volta sostanze psicoattive e che 1,5 milioni di italiani ha fatto nell’ultimo anno binge drinking (cioè ingurgitare più di sei bicchieri di alcol continuativi). Un’emergenza non annulla l’altra. Ma dà il senso di cosa possa essere definita emergenza e cosa no.

2. Si fa confusione fra ludopatici e giocatori problematici. I primi, diagnosticati come affetti da «gioco d’azzardo patologico», sono le poche migliaia citate sopra e trattati dagli ospedali. I giocatori problematici, a rischio ma non ancora «addicted», per il Cnr sono 400mila, per l’Ipsad 250mila, per altri 800mila. Attenzione: i malati sono una frazione. Ma i problematici non è detto che cadano nella patologia. Altrimenti dovremmo prevedere 4 milioni di studenti drogati (il 50% ha usato droghe) e 1,5 milioni di italiani alcolisti (criterio del binge drinking).

3. Cancellare la pubblicità che alimenta un vizio non è sbagliato, in molti pensano. A parte questioni liberali sul rischio di uno Stato etico, abbiamo già parlato della contraddizione sugli alcolici. Resta quella sulle sigarette. Il legame tra fumo e malattie ha nessi più forti che tra una giocata e la ludopatia, ma comunque in Italia ci sono più di 10 milioni di fumatori. La pubblicità serve, perbacco. E la sua mancanza oltre a far male ai produttori e ai nostri editori (sono in palese conflitto di interessi come blogger e vicedirettore di questo Giornale), rischia di spostare il problema da un luogo controllato (stampa e tv) a un mondo incontrollabile: la Rete e i social. Equita Sim ha calcolato 700 milioni (in tre anni) di effetto di minore spesa sui giochi legali. Ma gli altri? Già oggi la Rete è piena di spot, banner e incentivi a giochi di società on line che potranno affermarsi, mentre i concessionari legali saranno costretti a stare zitti e muti. La cattiva pubblicità non avrà bisogno di scacciare quella buona e responsabile che va in fascia protetta. Quest’ultima semplicemente non esisterà più.

4. Ai concessionari dei giochi – poco raccomandabili – sono stati condonati 98 miliardi. L’ultimo a scriverlo è stato Travaglio sul Fatto. È falso. Con una sentenza del 2012 la Corte dei conti ha individuato un’evasione fiscale di dieci concessionari pari a 2,5 miliardi. Tanto, ma quaranta volte meno di 98 miliardi. Il governo Letta dopo tre anni ha permesso un pagamento agevolato molto generoso di questa multa, che solo sei concessionari hanno pagato. Gli altri quattro non hanno accettato e fatto appello.

5. I concessionari di giochi legali sono spremuti come limoni. Oltre alle normali imposte su reddito, utili, Irap e contributi, pagano poco più della metà di quanto incassano al netto delle vincite. Che sono stabilite per legge. Su 20,5 miliardi di euro incassati nel 2017, le entrate dello Stato sono state 10,3 miliardi. A cui sommare le tasse che poi i concessionari pagheranno su tutto il resto. Perfino Rocco Casalino, oggi portavoce del premier Conte, in una trasmissione di scommesse che conduceva nel passato: «Cosa succederebbe senza questi miliardi che arrivano dal gioco, vista la crisi in corso? È difficile per lo Stato rinunciarvi».

Ci sarebbe molto altro da aggiungere. Ci sono state in passato molte opacità in questo settore, ma la battaglia moralista ed etica di oggi, forse è anche peggiore.

Nicola Porro, Il Giornale 7 luglio 2018

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