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Viaggio nella storia dell’inflazione

Ci sono eventi che restano scolpiti nella memoria degli uomini; se chiedete ai tedeschi vi diranno che una delle loro ataviche paure è legata all’esplosione dell’inflazione dei primi anni venti.

Nella foto che vedete qui a fianco è riportata una pagnotta e vicino una banconota da 1000 miliardi di marchi. Al culmine dell’iperinflazione nel Novembre del 1923 il costo di una pagnotta di pane sfiorò i 450 miliardi di marchi… capite quindi che il ritorno del “carovita” a livelli che non si vedevano dall’inizio degli anni ‘80 sta spaventando un po’ tutti: le banche centrali, i politici, gli imprenditori e i cittadini che – nella doppia veste di acquirenti di beni e servizi e di risparmiatori – vedono erosi progressivamente i loro risparmi.

In Occidente fortunatamente non abbiamo mai sperimentato un’inflazione stile Germania, abbiamo però avuto a che fare con quella degli anni ’70, che esplose in seguito ad alcuni eventi che ricordano un po’ quelli di oggi.

Le radici di quella crisi affondavano negli anni sessanta soprattutto in America dove, per finanziare le enormi spese della guerra del Vietnam, il deficit federale dello Stato esplose passando da 1,6 a 25 miliardi di dollari dal 1965 al 1968.

Quando alcuni Paesi (Francia in testa) iniziarono a chiedere la conversione dei  dollari in oro (come previsto dagli accordi di Bretton Woods del 1944) il Presidente Nixon annunciò la sospensione della convertibilità del dollaro in oro: era l’agosto del 1971 e fu la fine del gold standard”.

A quel punto i vari Stati si sentirono liberi di stampare moneta senza vincoli di bilancio e/o di conversione (qualche analogia con il QE dei giorni nostri?). Ma il peggio doveva ancora arrivare: il 6 ottobre 1973, giorno della ricorrenza dello Yom Kippur, le forze armate di Egitto e Siria attaccarono Israele. I paesi arabi associati all’Opec raddoppiarono il prezzo del petrolio e diminuirono le esportazioni verso le nazioni importatrici, bloccandole per gli Usa e i Paesi Bassi.

In Italia il tasso di inflazione arrivò al 10% e non sarebbe sceso sotto le due cifre fino al Settembre 1984, toccando una punta del 21,7% nel 1980; anche gli Usa sperimentarono un rialzo dei prezzi mai visto prima e solo la decisa azione del coraggioso Presidente della Fed Paul Volcker (appoggiato dal Presidente Reagan) pose fine al fenomeno rialzando i tassi fino al 20% (e provocando una doppia recessione).

Oggi, 40 anni dopo, ci si domanda dove l’inflazione potrà arrivare, mentre appare certo che le banche centrali – Fed in testa – hanno per molti mesi sottovalutato la portata del fenomeno e oggi sono in una posizione scomoda (“dietro la curva” come dicono molti economisti); non possono non alzare i tassi per cercare di frenare la corsa dei prezzi ma non devono alzarli troppo in fretta per non stroncare la crescita economica, già in rallentamento a causa dello scoppio della guerra in Ucraina.


E gli effetti sui mercati finanziari?

Le conseguenze sui mercati finanziari non hanno tardato: la Fed, agendo tardivamente come dicevo, ha iniziato la politica di restringimento monetario alzando i tassi dello 0,25% ma preannunciando ulteriori e numerosi rialzi nell’anno (si parla adesso di tre interventi dello 0,5% l’uno a maggio, giugno e luglio), facendo prevedere un inasprimento della politica monetaria come non si vedeva dal 1982 (l’epoca dei rialzi di Volcker), anche la Bce negli ultimi giorni ha fatto capire che nella seconda metà dell’anno potrebbe seguire la Fed e così un po’ dovunque nel mondo.

I mercati sono stati colti un po’ di sorpresa, immaginavano un cambio di passo ma non di questa entità: le obbligazioni stanno vedendo quello che al momento è il peggior risultato degli ultimi 50 anni…

Quella che dovrebbe essere la parte difensiva dei portafogli non è riuscita a contenere la correzione dei mercati e i risultati sono da leccarsi le ferite, almeno per il momento.

La stessa situazione stiamo vivendo sui mercati azionari: l’aumento dei tassi e il rallentamento della crescita (complici la guerra e i nuovi lockdown in Cina) hanno portato ribassi diffusi sui listini, soprattutto sui titoli tecnologici, più deboli in un contesto di tassi crescenti.

I risparmiatori, disorientati dalle forti oscillazioni, ancora non si sono adattati alla nuova realtà fatta di inflazione e tassi al rialzo: hanno visto rialzi monstre nei prezzi dell’energia (benzina, gas e luce) ma non ancora degli alimentari (anche se la guerra sta già facendo lievitare quelli di grano, mais, olio di girasole ed altri) e sono bloccati (quando non liquidano perché presi dalla paura di perdere denaro).

Complice l’incertezza ulteriore portata dalla guerra si tengono cifre importanti sui conti correnti, evitando così le oscillazioni dei mercati ma andando incontro ad una perdita certa derivante dalla diminuzione del potere d’acquisto: a novembre 2020 il prezzo del gasolio alla pompa era di 0,983 al litro e per mettere 40 litri si spendevano 39 euro, a metà marzo ho fatto rifornimento in autostrada: prezzo 2,4 euro al litro, totale 96 euro!! (+146% o +57 €).

L’inflazione è un nemico duro da sconfiggere: se ad esempio a causa dell’aumento del costo delle materie prime (farina di grano, pomodoro ecc…) il prezzo della pizza passa da 5 a 6 euro questo è un costo sopportabile ma in assoluto è un aumento del 20% ed è quasi certo che sarà anche definitivo, infatti anche se il costo delle materie prime dovesse rientrare sarà molto difficile rivedere la pizza a 5 euro.

Mi piace iniziare le mie conclusioni dalla frase riportata in alto (di Mike Tyson si può dire tutto ma non che non fosse chiaro e diretto). Come risparmiatori abbiamo preso infatti un bel diretto in pieno viso: non eravamo più abituati a vedere i mercati girarsi all’improvviso in negativo, a vedere titoli che fino al  giorno prima  erano  tra  i  più.

gettonati del listino venire svenduti a tanto al pezzo (Netflix), a vedere perdite su titoli di stato superiori al 20% (T-Bond a lungo termine) e al venir meno del supporto delle banche centrali, sempre pronte a intervenire nei momenti più bui degli ultimi anni (da Lehman Brothers in poi).

Sul mercato oggi si presentano condizioni difficili ma anche diverse opportunità interessanti; i portafogli vanno magari aggiustati ma non smantellati.

Chi ha costruito per il lungo termine (in base ai suoi obiettivi) non deve cedere al nervosismo anzi, può approfittare della paura degli altri per trarne un guadagno (è il cosiddetto “premio al rischio”); se nel breve termine la liquidità è un porto sicuro nel medio e lungo termine è sempre perdente: il rendimento medio annuo dal 1928 a oggi è del 3,3% per la liquidità, del 4,8% per le obbligazioni e del 10% per le azioni.

Come dice il mio amico Charlie Bilello: “non dovresti fare il tifo perché i contanti siano il tuo miglior investimento, un ambiente in cui “cash is king” per lungo tempo non è un buon ambiente per gli investitori”.

Per superare questo momento dobbiamo essere  resilienti per usare un termine in voga oggi, per citare un altro amico (Marco Montemagno): in questo mondo alzarsi la mattina è come salire su un ring contro Mike Tyson: ogni giorno prendi un sacco di botte, ma alla fine ti dai appuntamento al giorno dopo, per prenderne di più” (ma alla fine vinci aggiungo io).

Massimiliano Maccari, 25 aprile 2022

 

 

 

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