Economia

Il cinema ci insegna ad investire in borsa?

Ricordate la scena della partita a poker nel film “Compagni di scuola” di Carlo Verdone? Durante la sera della rimpatriata tra vecchi compagni del liceo viene organizzata una partita a poker e tra i partecipanti quello che spinge per giocare è il personaggio interpretato da Christian De Sica, tale Ciardulli.

Per farla breve dopo aver tanto insistito per giocare si arriva a una mano di poker in cui Ciardulli apre con 100.000 lire (ah le vecchie amate lire J), un altro (Alessandro Benvenuti) vede le 100.000 e rilancia di 300.000; dopo un minuto – lunghissimo – di tormento Ciardulli passa salvo verificare poi che quello aveva soltanto due 9.

A quel punto interviene il compianto Angelo Bernabucci (che interpreta un tipico personaggio romano verace) che – viste le carte di Ciardulli – recita la famosa frase, il cui significato è chiaro: vuoi giocare, vuoi giocare e poi per paura scappi e perdi l’occasione di vincere (i tre ganci del titolo sono tre Jack).

Dall’inizio dell’anno i mercati segnano il passo: dopo un 2021 assai soddisfacente (l’MSCI World ha fatto segnare un ottimo +20%) il 2022, causa la fiammata dell’inflazione, la paura del rialzo dei tassi e l’arrivo della variante Omicron, si è aperto in negativo (-1,5% l’MSCI World e -4,76% il tecnologico Nasdaq).

E che succede allora? Che già iniziano a serpeggiare i dubbi: ma sarà ancora il caso di investire in azioni? (così, tout court…) oppure “la corsa dei titoli tecnologici è al capolinea” (come se il nostro mondo non fosse ormai decisamente tech-oriented, basta vedere le innovazioni presentate al CES di Las Vegas anche in questo periodo di pandemia).

Insomma, alla prima mano in cui bisognava andare a vedere le carte molti investitori – che ovviamente non si accontentavano dei rendimenti a zero, anzi negativi sui bond – hanno passato come Ciardulli, riscoprendosi risparmiatori, cioè non avvezzi al rischio, che ovviamente è sempre presente sui mercati finanziari perlomeno in termini di oscillazioni dei valori.

Proprio oggi Il Sole 24 Ore festeggia il numero 1000 del suo supplemento finanziario Plus 24 ripercorrendo le tappe di questi 20 anni dei mercati, partendo dal giugno 2002 fino ad oggi.

E, nel giugno 2002, io c’ero e ricordo abbastanza bene il clima di quel periodo, nemmeno lontanamente paragonabile ad oggi: le borse venivano dallo scoppio della bolla dei titoli dot.com o bolla-internet che dir si voglia (anche se una similitudine col mondo di oggi c’è per quanto riguarda alcuni segmenti, vedi bitcoin, dogecoin o le famose meme stocks); il 2000, apertosi in maniera spumeggiante era poi finito male (-9%), il 2001 andò male e finì peggio anche a causa dell’attentato tragico alle Torri Gemelle dell’11 settembre (-12%)e la recessione innescata si protrasse per tutto il 2002 (-22%) fino a marzo del 2003.

Tornando ai 20 anni trascorsi quante volte ci sono stati motivi per uscire dai mercati azionari? Quante volte sembravano esserci tutte le ragioni per non entrare? Un grafico mi piace sempre molto in questi casi ed è quello chiamato “reasons to sell”, le ragioni per vendere; ce ne sono sempre, a iosa direi.

Eppure, come dice il Prof. Bertelli, docente di finanza comportamentale all’Università di Siena, “i mercati oscillano, tentennano, traballano, mentre salgono nel tempo”.

Nessuno ovviamente li può prevedere, e nessuno può dire “questa discesa dura poco poi il mercato risalirà” ma la storia ci dice che nel tempo il valore che si estrae dai mercati (anche da quelli obbligazionari) è premiante per chi sa aspettare e non per chi – con i suoi comportamenti – contribuisce alla mala riuscita dei suoi investimenti.

Probabilmente come dicono quasi tutti i gestori questo sarà un anno caratterizzato da grande volatilità, ma quando mai non c’è stata? Quando mai non ci sono stati rischi geopolitici all’orizzonte? Avete mai sentito dire al telegiornale “ah! Questo è l’anno perfetto per investire, l’economia cresce e tutto va bene?”, io no.

Anzi, i migliori momenti per investire storicamente si sono presentati proprio al culmine delle crisi, da quella Lehman a quella pandemica dello scorso anno.

E il famoso Nasdaq ebbe il suo punto massimo di opportunità proprio alla fine dello scoppio della bolla internet in cui nessuno voleva più sentir parlare di tecnologia, certo oggi non siamo in quella situazione ma non è detto che qualche storno non apra una finestra di opportunità.

Le oscillazioni dei mercati (e ci rientrano a pieno titolo anche le obbligazioni, più che mai in questi mesi) sono una caratteristica dei mercati e non un difetto e la volatilità, come dice il mio amico Charlie Bilello, è “the price of admission”.

E peraltro, mentre nel 2002/2003 trovavamo il Bund tedesco che rendeva il 5% oggi lo troviamo a 0 (ed è risalito…)


Massimiliano Maccari, 16 gennaio 2022

 

 

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