Economia

Il fallimento della globalizzazione e delocalizzazione impone urgentemente nuove scelte

Che caduti determinati vincoli giuridici nel mondo del lavoro, sarebbe arrivato lo tsunami dei licenziamenti in molti ne avevano scritto, sottoscritta compresa ma a quanto pare lo scoglio non ha voluto neanche provare ad arginare il mare…

Il Decreto Sostegni bis firmato il 1 luglio 2021 ha sollevato la sbarra e aperto a quell’ autostrada a quattro corsie che conduce verso una sola destinazione la “delocalizzazione selvaggia” che tra l’altro è un problema che esiste dagli anni ottanta, mai normata ma che oggi, a causa della pandemia da covid-19 che stiamo attraversando si fa sentire in modo decisamente esasperato.

Le tante multinazionali estere che per anni hanno “soggiornato” nel nostro paese facendo tesoro delle tante risorse intellettuali incamerando quel Know how che il mondo da sempre ci invidia, appena caduti i “vincoli matrimoniali” dalla sera alla mattina hanno deciso che non siamo più redditizi e quindi meglio togliere il disturbo senza preoccuparsi dei tanti morti e feriti che rimangono sul campo, ma se di tutto ciò le stesse hanno una “certa responsabilità morale” l’Italia ha la responsabilità di una mancata normativa fiscale e costo del lavoro a tutela sia dell’imprenditore che  del lavoratore e proprio quest’ultimo paga più di tutti attraverso la perdita del lavoro e una modalità di licenziamento discutibile sotto il profilo etico e morale.


Siamo diventati un popolo di cinici senza più il minimo rispetto per l’individuo.

Certo nel frattempo si poteva fare molto di più a livello governativo, il contratto di rioccupazione una delle misure messe in atto, ha avuto un peso specifico rispetto all’alto costo del lavoro pari allo zero, eppure il dibattito anche dai toni molto alti sul blocco dei licenziamenti proprio per tutelare i lavoratori si era protratto per un lunghissimo periodo di tempo arrivando  alla conclusione che forse  la collaborazione degli imprenditori, gli incentivi alle assunzioni e la CIG COVID-19 avrebbero fatto da contraltare ai licenziamenti previsti ma a quanto pare cosi non è stato.

Sfido anche il primo dei liberali a voler difendere una strategia imprenditoriale come questa e sfido ogni liberale ad approvare una delocalizzazione selvaggia come quella che è in atto da troppi anni nello scenario internazionale che invece di migliorare il tessuto economico dei paesi coinvolti ne sfrutta soltanto le risorse umane e ambientali e lascia gli stessi paesi nell’impossibilità di controllare un mercato del lavoro globalizzato e di elaborare processi regolamentari uniformi e adeguati alle necessità.

Dopo anni e anni di studi e dibattiti incentrati sui meriti e vantaggi della globalizzazione, sull’ innovazione tecnologica ma anche perché no, dei tanti giri su Marte (new entry) oggi nell’anno 2021, la conclusione è delle più semplicistiche: pochi continuano ad arricchirsi, molti galleggiano, il ceto medio quella stratificazione sociale che da sempre fa girare l’economia è scomparso e le file della Caritas si allungano.

Il mercato del lavoro è da sempre materia difficile e quanto mai sensibile, dove riuscire a trovare quell’equilibrio tra il mondo imprenditoriale e dei lavoratori è quasi un’impresa titanica ma con un po’ di coraggio, buonsenso e volontà ci si può riuscire, d’altra parte sono due mondi in propedeutica simbiosi che non potrebbero esistere  separati l’uno dall’altro, se crolla uno automaticamente si porta dietro l’altro e troppo spesso questo meccanismo sfugge ai più…

Per fare un esempio pratico di cosa sta accadendo nel nostro territorio nazionale basta narrare della notizia di pochi giorni fa, di come nelle Marche una importante realtà la Caterpillar, ha destabilizzato un’intera comunità lasciando a casa dall’oggi al domani circa 280 lavoratori, episodi simili si sono verificati già in altre regioni ricordiamoci di Whirlpool, Timken, GKN e si verificheranno ancora ed a breve spazio temporale in altri territori italiani, stiamo parlando di realtà sane con buoni profitti e buoni bilanci che si muovono sul territorio internazionale indirizzati soltanto dal criterio della massimizzazione del profitto, tralasciando tra altri quello della creazione del lavoro stabile.

Strategie di questo tipo che non mettono radici, non creano ingegno e non arricchiscono un territorio diventano solo un peso per il Governo del luogo che deve poi ricorrere a forme di assistenzialismo per sostenere una disoccupazione che va sempre  in crescendo e attiva un processo che alla fine andrà a gravare sempre sui soliti noti,  le generazioni più giovani essendo  gli ultimi del circuito.

E’ un circuito che deve essere discusso e interrotto a livello europeo perché se è vero che vogliamo essere una Europa forte e coesa, dobbiamo anche lavorare in sinergia e iniziare a mettere quei paletti per contrastare sia i grandi  “saccheggiatori” che arrivano da oltreoceano sia i tanti imprenditori europei che “sfruttano” il lavoro nei paesi dove la manodopera è più bassa, riequilibrare il costo del lavoro in ambito europeo è divenuto un obbligo più che un progetto legislativo, come è divenuto quanto mai necessario il decreto legge anti delocalizzazioni che si appresta ad introdurre il nostro governo per quelle imprese con almeno 250 dipendenti a tempo indeterminato che intendano procedere alla chiusura di un sito produttivo senza ragioni determinate da uno squilibrio economico finanziario anche se a mio modesto avviso dovrebbe essere esteso a tutte le realtà produttive.

Nel frattempo rimaniamo come consuetudine in attesa dei soliti tavoli che trattano ogni volta e per mesi dei singoli casi specifici, dove in molti per ovvi motivi vogliono buttarci il cappello, dove si spendono tante belle parole e buoni propositi confidando nel miracolo che politiche attive e categoria imprenditoriale, i veri determinanti protagonisti riescano a trovare quel giusto compromesso ed equilibrio affinchè si riporti quel flusso energetico regolare ed omogeneo che faccia da vaso comunicante tra il mondo del lavoro e il mondo produttivo e, un diritto del lavoro che operi con scienza e coscienza in quello che è diventato un percorso molto ridotto tra la libertà di impresa e la tutela e il rispetto del lavoro previsti nella nostra Costituzione.

Lorena Polidori, 16 dicembre 2021

 

 

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