Economia

Il santo Graal degli investimenti: la decorrelazione

Il Graal, il calice in cui bevve Gesù durante l’Ultima Cena, la coppa leggendaria che accolse il sangue della crocifissione quando Gesù fu trafitto al costato dal centurione Longino e che fu affidata a Giuseppe di Arimatea. Giuseppe avrebbe lasciato la Palestina per rifugiarsi nelle Isole britanniche portando con sé il Sacro Graal

La leggenda del Sacro (o Santo) Graal inizia a diffondersi in Europa tra il XII° e il XIII° secolo, la prima opera letteraria in cui è citato è il Perceval ou le conte du Graal di Chrétien de Troyes.

Tantissimi sono i significati e i simboli attribuiti al Graal: la coppa della conoscenza, bere dal Graal dona la vita eterna, nel Graal sta il sangue della discendenza di Gesù  (sposato con Maria Maddalena).

Il Graal rappresenta il potere assoluto, la conoscenza, chi possiede il Graal ha in dono la vita eterna e l’eterna giovinezza. In questo momento anche i risparmiatori, in tutto il mondo, sono alla ricerca del Sacro Graal degli investimenti: il potere della decorrelazione; non esiste infatti portafoglio che sia riuscito a limitare i danni in questo inizio del 2022, il mercato si è mosso in modalità unidirezionale, tutto scende tranne le commodity (leggi materie prime).

Ma, come giustamente scrive Danilo DT sul suo blog Intermarket & More, pur inserendo un po’ di materie prime in portafoglio queste non sono in misura tale da poter compensare l’andamento negativo delle altre due asset class quali azioni e obbligazioni, alle prese inoltre con un’inflazione che ha raggiunto l’8,3% negli Stati Uniti.

Andiamo però a vedere alcune notizie che, se prese singolarmente sono ancora negative, ma se valutate insieme possono dare un quadro diverso.

Intanto, se l’anno si chiudesse oggi sarebbe il peggiore di sempre dal 1976 (in cui iniziano le rilevazioni) con un meno 10% (v. immagine), frutto della media degli andamenti decisamente peggiori dei titoli di stato a lunga scadenza, delle obbligazioni Investment Grade e degli High Yield.

Proprio però in seguito ai forti ribassi delle scorse settimane si iniziano a intravedere delle potenzialità per il mercato obbligazionario (il rendimento sale mentre il prezzo scende) sia nel comparto dei titoli governativi che in quello delle emissioni corporate.

E se è vero che azioni e obbligazioni sono tornate a muoversi in sintonia in questo inizio di 2022 (dopo anni di correlazione negativa), è anche vero che – sempre nelle ultime settimane su alcuni segmenti obbligazionari sono tornati gli acquisti: quando i Treasury americani a 10 anni hanno superato il 3% di rendimento sono immediatamente scattati gli ordini di acquisto e il rendimento è tornato in area 2,8%.

Il discorso del rendimento che ritorna ad essere interessante è ben rappresentato nel mercato delle obbligazioni ad alto rendimento (gli High Yield): siamo tornati ai livelli del maggio 2020 con un rendimento a scadenza del 7,4%.

Certo, prima del rimbalzo di venerdì – dopo il Nasdaq – anche l’S&P 500 era ormai praticamente entrato in una fase di bear market (mercato orso caratterizzato da una discesa di oltre il 20% dai massimi precedenti).

Dal 1950 a oggi abbiamo avuto 15 mercati ribassisti, con una flessione media delle quotazioni del 30% e una durata (per ritornare in pareggio) di circa un anno e mezzo.

Nessuno sa come andrà a finire (in 8 casi su 15 c’è voluto meno di un anno per recuperare ma in altri 3 casi ce ne sono voluti quattro), però sappiamo che, seppur lunghi (a volte) e dolorosi, anche i mercati ribassisti alla fine finiscono (v. il 2020)

La cosa certa è che durante un mercato ribassista ci vuole pazienza e una buona gestione delle proprie emozioni. (tratto da How Long Do Bear Markets Last? di Ben Carlson, A Wealth of Common Sense).

 

Massimiliano Maccari, 16 maggio 2022

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