Economia

La caduta degli dei

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In principio fu il Motorola Dyna TAC, il primo vero telefono cellulare portatile; poi arrivò il MicroTAC 9800X e fu l’inizio del boom; negli anni seguenti Motorola continuò a dominare la scena con i modelli 7500, 8200 e 8700 (GSM).

Nel 1997 i marchi famosi erano: Motorola, Nokia, Ericsson, Panasonic e Alcatel.

Nel 2000 la regina del mercato dei telefoni cellulari era senza dubbio Nokia; il suo modello di punta, il 3310, vendette 126 milioni di pezzi, la seconda classificata, Motorola 60 milioni e Ericsson 41; iniziava ad emergere Samsung con 28 milioni.

Ancora nel 2007 Nokia si piazzava al primo posto con 435 milioni di pezzi venduti mentre Motorola e Samsung guerreggiavano in seconda e terza posizione con 160 milioni; intanto era comparso un nome nuovo: Apple, il suo iPhone EDGE uscì il 29 giugno del 2007 e nulla fu più come prima.

Anche se le vendite di Nokia tennero fino al 2013 (Motorola era già sostanzialmente fuori dai giochi sin dal 2010) la strada era segnata; dopo la breve parentesi del BlackBerry (il telefono dei manager veniva soprannominato) l’unica società in grado di tenere testa ai discendenti del primo iPhone fu Samsung. 

A sinistra il Motorola Dyna Tac, a destra la fila per acquistare il primo iPhone nell’Apple Store di New York.

 

 

 

 

 

Nel settembre del 2013 l’Amministratore Delegato di Nokia, Stephen Elop disse tristemente in occasione della vendita di Nokia a Microsoft: “Non abbiamo commesso alcun errore particolare ma, in qualche modo, abbiamo perso”.

Nokia era leader di mercato (circa il 40%) ma non investì adeguatamente in innovazione non capendo l’evoluzione del mercato stesso (sistema operativo, tastiera touch eccetera). Perse tutto il suo vantaggio e – sostanzialmente – scomparve dalla scena, compiendo lo stesso errore compiuto in precedenza da un’altra azienda, Kodak.

E oggi? Oggi dominano i costruttori cinesi: Huawei, Xiaomi, Oppo, anche se Samsung e Apple resistono, hanno saputo continuare ad innovare.

 

 

Il falò delle vanità

Nelle scorse settimane è esploso il caso del fondo speculativo Archegos Capital Management, nome pressoché sconosciuto al grande pubblico ma molto noto negli ambienti finanziari che contano.

Per l’ennesima volta la condotta spregiudicata di un operatore, Sung Kook Hwang (detto Bill) e del suo fondo (un hedge fund convertito in family office per aggirare le regole della Sec e risultare non soggetto a norme stringenti riguardo alla rendicontazione) ha trascinato alcuni nomi prestigiosi della finanza internazionale nei guai, Morgan Stanley e Goldman Sachs ma soprattutto Nomura e Credit Suisse.

Soprattutto Nomura (2 miliardi di dollari di perdite) e Credit Suisse (circa 4,4 miliardi di franchi svizzeri) ne escono con le ossa rotte; Credit Suisse in particolare si vede costretta ad emettere due obbligazioni convertibili e raccogliere quasi due miliardi di franchi svizzeri sul mercato per puntellare il capitale (ed è partita un’indagine dell’autorità elvetica di vigilanza sull’operato della banca).

Lasciando agli organi competenti gli aspetti legati alla regolarità di alcuni operatori la morale per gli investitori è sempre la stessa: la ricorrente tentazione di pensare di poter indovinare il titolo giusto, il cavallo vincente.

Ricordiamo sempre la massima di John Bogle: “non cercare l’ago nel pagliaio, compra l’intero pagliaio” (l’ho citata anche qualche giorno fa ma ahimè è sempre attuale).

 

Massimiliano Maccari

 
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