Economia

Perché Mattarella dirà fino alla fine no, tranne se…

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La pioggia cade incessante sui palazzi del potere di una Roma sospesa. Al Quirinale c’è il desiderio di lasciare il passo per evitare che la Repubblica si pieghi alla prassi di mandati dalla cadenza temporale più monarchica che presidenziale. A Palazzo Chigi c’è la consapevolezza che lo stato d’eccezione del governo di unità nazionale possa essere spazzato via e con esso tutto lo sforzo profuso sul contenimento della pandemia e sul rilancio economico del paese grazie alle risorse del PNRR da un rigurgito di rivalsa di partiti indeboliti e sfiancati dal successo politico di un tecnico, estraneo al loro mondo.
 
A Montecitorio e Palazzo Madama c’è la paura dei tanti asserragliati nei sempre più affollati gruppi Misti che si sia all’ultimo giro di giostra e per rinviare la conclusione della loro esperienza politica attendendo gennaio per esercitare l’ultimo e reale atto di potere in loro possesso: votare ed eleggere un nuovo Capo dello Stato che salvi la legislatura e con essa l’agognato vitalizio. A Palazzo dei Marescialli c’è l’assuefazione alla perdita di legittimità e indipendenza della magistratura che, dopo le stagioni delle lotte intestine fra correnti, degli scandali e delle inchieste sul sistema Palamara, subisce l’ultimo sfregio rappresentato dalla decisione di un magistrato di svolgere il doppio ruolo di politico e giudice, senza rinunciare a uno dei due incarichi.
 
La Repubblica affronta il voto del nuovo Presidente sommando le debolezze di tutte le sue istituzioni. Partiti incapaci di assumere su di sé la responsabilità di governo e commissariati dal più importante esponente della storia del potere monetario europeo. Parlamentari privati della funzione legislativa rimessa nella quasi totalità del casi all’iniziativa dell’esecutivo, in questo ultimo anno sempre più autonomo dalle agende dei partiti.
 
Magistrati accerchiati da un crescente malumore dell’opinione pubblica che potrebbe cristallizzarsi in una bocciatura per la categoria per mezzo del referendum sulla responsabilità civile dei giudici in programma nella prossima primavera. Sindacati pronti a rinunciare all’unità sindacale e a dare vita al conflitto sociale in vigenza di un governo di unità nazionale per dare voce non tanto ai diritti dei lavoratori, quanto ai propri referenti politici impossibilitati a criticare apertamente il governo, poiché ingabbiati nella larga maggioranza che lo sostiene. 
 
Il precario equilibrio del sistema democratico italiano appare oggi reggersi solo sulla credibilità di un’istituzione e del suo interprete. Sergio Mattarella ha costruito una connessione sentimentale con il Paese fatta di un solido rispetto dei principi costituzionali, di una attenta selezione delle iniziative e tematiche da portare all’attenzione dell’opinione pubblica, di una schiva riservatezza che ha saputo però sciogliersi in una umana empatia nei momenti più dolorosi della pandemia.
 
L’equilibrio di questo accademico, politico, giudice costituzionale, dunque di questo uomo di cultura, di diritto e delle istituzioni, che con le sue scelte nello sciogliere la crisi politica del gennaio scorso ha prodotto il concatenarsi di eventi che consentono oggi all’Italia di affrontare le recrudescenze della pandemia da una posizione di maggiore protezione rispetto ad altri Stati, viene riconosciuta dalla maggioranza degli italiani. I lunghi e convinti applausi che gli spettatori della Scala di Milano gli hanno tributato la sera del 7 dicembre sono lo specchio di un sentimento reale del Paese, non solo di un piccolo spaccato della città italiana più dinamica economicamente e culturalmente. 
 
L’Italia destatasi dalla parentesi del populismo, vaccinata e desiderosa di una stagione di ripresa e di buon utilizzo delle risorse europee appare comprendere che senza Mattarella al Quirinale l’inviolabilità politica di Draghi non sarà più così inscalfibile. E con essa sarà messa a rischio anche la credibilità dell’Italia agli occhi degli osservatori internazionali. Eppure Mattarella sta enucleando con puntigliosa accuratezza le motivazioni politiche e costituzionali per le quali non ritiene opportuno restare per un secondo mandato, seppure parziale, al Quirinale.
 
Ma proprio nei principi costituzionali e nella salvaguardia del sistema democratico che potrebbe deragliare se i partiti nello svolgere la loro funzione di selezionatori e promotori dei candidati alla presidenza della Repubblica non sapessero trovare una attenta sintesi, potrebbe ravvisarsi la motivazione ultima che potrebbe spingere Mattarella ad accettare il sacrificio di una nuova investitura. 
 
La pioggia incessante di richieste di un bis non avrebbe la stessa pervicace forza persuasiva nei confronti del Presidente Mattarella di quella del dover constatare che senza una intesa nobile e forte fra i partiti per indicare un suo successore all’altezza, la Repubblica correrebbe il rischio di deragliare in una crisi prima istituzionale e poi sociale ed economica. Se il voto di gennaio venisse utilizzato dai partiti per riequilibrare i rapporti di forza con Draghi e non per eleggere un arbitro imparziale e garante del sistema democratico, il rischio reale che corre l’Italia è quello di entrare dentro una crisi senza via d’uscita. 
 
Uno scenario che non sarebbe accettabile dal tutore massimo della Costituzione. 
 
Antonello Barone, 11 dicembre 2021
 
 
 
 
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