Economia

PNRR: investimenti e riforme ma soprattutto un welfare ben strutturato

Welfare Reddito di cittadinanza

L’hanno chiamato “reddito di cittadinanza” ma sempre di welfare/politiche attive si parla, hanno voluto far credere ad un paese in difficoltà che volevano aiutare i “poveri”… forse l’intenzione da parte dei 5stelle ci sarà anche stata ma un risultato concreto con il passare degli anni non è mai arrivato agli occhi degli italiani, nonostante le dichiarazioni di un Presidente Tridico capo dell’Inps che aveva visto dopo sei mesi addirittura abolita del 60% la povertà in Italia… dichiarazione implacabilmente smentita dai dati della Caritas e confermati dalle lunghe file in crescita davanti ai loro siti.

Allora a cosa sono serviti i tanti miliardi spesi ma soprattutto dove sono finiti tutti quei soldi degli italiani, ben 19,6 miliardi di cui: 3,8 miliardi nel 2019, 7,2 miliardi  nel 2020 e circa 8 miliardi per l’anno 2021 (ancora in corso)  se anche la Corte dei Conti ha detto che non sono mai arrivati ai “veri poveri”.

Abbandono per un momento il contesto Reddito di Cittadinanza per tornarci dopo un breve excursus generale, inevitabile per comprendere appieno l’importanza del welfare, delle politiche attive e di quanto gravano sul nostro bilancio, sulla crescita del PIL e, soprattutto sulla vita dei singoli se non vengono concepite in modo appropriato e concretamente realizzate attraverso  strutture riformate.  

E’ noto che grazie al Governo Draghi, il PIL è cresciuto nel nostro paese e secondo le statistiche crescerà a breve periodo di un ulteriore 6% è anche vero che per raggiungere questa crescita molto dipenderà dall’impatto del PNRR, proprio grazie a queste risorse europee potremmo tornare al livello di crescita del periodo pre-pandemia.

Il fatto fondamentale però è che il nostro paese deve, sì, raggiungere i livelli precedenti alla pandemia da covid19, ma, deve anche ridurre quel gap di disparità che si porta dietro da oltre 20 anni con gli altri paesi europei che lo colloca agli ultimi posti, al quale gap ha contribuito sia l’alto livello di disoccupazione che, il rapporto debito/pil.

Quindi senza girarci tanto intorno l’Italia attraverso il PNRR  deve aumentare il proprio potenziale per riuscire ad arrivare allo stesso livello degli altri paesi Europei. Elemento essenziale del PNRR, è arcinoto sono  le tanto decantate riforme, attraverso le quali si incentivano gli investimenti e proprio grazie a questo ineccepibile binomio (riforme/investimenti) si riuscirà a portare ricchezza nel nostro paese.

I miliardi UE devono essere utilizzati per ricostruire lo scheletro infrastrutturale poi attraverso i fondi del bilancio dello Stato pagare chi si dovrà occupare di far funzionare il tutto.

Il prossimo 2023 entreremo nel pieno degli investimenti del PNRR, risorse che dovranno essere utilizzate entro il 2026 e il governo che si andrà a formare in un eventuale dopo Draghi (auguriamoci di no) dovrà essere un governo capace, stabile, responsabile e soprattutto maturo “governativamente” parlando.

I giovani sono sempre il punto centrale, devono essere aiutati ad entrare nel mondo del lavoro, e per questo – è sempre opportuno ribadirlo – il PNRR prevede ingenti risorse, per raggiungere al meglio tale scopo, magari ricorrere ad un sistema duale (alternanza scuola – lavoro) di cui avevo già parlato qualche tempo fa in un precedente scritto, una misura molto sostenuta in Germania considerati gli ottimi risultati raggiunti, come anche la formazione dovrà divenire una priorità per raggiungere i troppi Neet che non sono né occupati, né inseriti nei vari circuiti formativi.

Ed ecco che  torno al reddito di cittadinanza, a quella misura welfare mal concepita che poco è stata di aiuto agli italiani, a quell’investimento che ha pesato sul bilancio Italia per 19,6 miliardi, a quella iniziativa che ha due facce di una stessa medaglia, quella che doveva risolvere il problema della povertà, parliamo di coloro che dovevano sottoscrivere il Patto Sociale senza passare per i navigator quindi famiglie numerose, lavoratori non più occupabili, etc. e, quella di coloro che dovevano invece essere accompagnati nel mondo del lavoro grazie al supporto dei navigator per  abbattere quella enorme percentuale di disoccupazione che attanaglia il nostro paese aderendo al Patto per il Lavoro.

Considerato quanto detto sopra, dal lato sociale, poco è arrivato a quel gruppo di persone che vivono un disagio e, dal lato politiche attive pochissimo quasi niente i navigator sono riusciti a fare; del loro negativo risultato vi è generale consapevolezza, la maggior parte di chi ha trovato lavoro lo deve molto probabilmente al “passaparola” strumento di antica virtù ancora molto in uso in questo paese, che bypassa facilmente i Centri per l’Impiego a tutt’oggi ancora non riformati.

Riguardo proprio i Centri per l’Impiego l’attenzione verte anche verso il fatto che questi non dovevano finire nell’osservatorio degli addetti ai lavori solo per i percettori del reddito di cittadinanza ma anche per l’enorme numero di giovani disoccupati da aiutare.

Ed è finalmente notizia di questi ultimi giorni che a seguito della necessaria riscrittura del Reddito di Cittadinanza che vedrà cadere alcuni paletti come la decadenza dall’aiuto se si rifiutano due posti di lavoro, se non ci si presenta almeno ogni mese senza comprovato giustificato motivo presso un centro per l’impiego e altresì viene rivisto il criterio della distanza, saranno proprio i Centri per l’impiego a tornare al centro della scena che attraverso i propri dipendenti dovranno  cercare lavoro ai beneficiari coadiuvati dalle agenzie private autorizzate dall’Anpal.

A conclusione è opportuno sottolineare trattandosi di un fatto oggettivo e di denaro pubblico che il reddito di cittadinanza sino ad oggi è stato più un risultato di propaganda elettorale per acquisire consenso che strumento per abolire quella povertà che ancora ai giorni nostri coinvolge circa 5 milioni di italiani e considerati i parametri con cui è stato adottato che chi riceve il sussidio può rifiutare un’offerta di lavoro magari giustificandola poco conveniente per motivi di lontananza dalla propria residenza o non proprio  in linea con il proprio percorso professionale e/o formativo, negli anni è divenuto un sussidio permanente invece di essere vero strumento welfare.

Lorena Polidori, 17/11/2021

 

 

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