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Probabilmente non se ne rendono conto, ma sono tutti alleati di Matteo Salvini. I grillini duri e puri entusiasti del ritorno del Capocomico Beppe, che sul mitologico blog si sbizzarrisce in supercazzole per salvare il salvabile, ovvero le poltrone che il Movimento rivedrebbe col binocolo, dopo un passaggio elettorale. “Dobbiamo fare dei cambiamenti? Facciamoli subito, altro che elezioni, salviamo il Paese dal restyling in grigioverde dell’establishment”. Comicità in questo caso involontaria, tutte cartucce per la propaganda tambureggiante del Capitano.
Poi ci sono i renziani in crisi d’identità, quelli del #senzadime twittato compulsivamente fino a ieri ad ogni ipotesi di dialogo coi pentastellati, che oggi scoprono tutti il “responsabile” che è in loro. E allora è tutto un rinverdire il lessico della Prima Repubblica, dominano nei discorsi i “governi di transizione”, i “governi di scopo”, fino al classico dei classici, il “governo di responsabilità nazionale” con cui flirta Renzi in prima persona, che è la nemesi finale della rottamazione, gattopardismo puro. E ancora, grasso che cola sui sondaggi già trionfanti per Salvini.
Si scaldano poi le sempiterne “riserve della Repubblica”, coloro che quando intravedono la possibilità di bizantinismi quirinalizi extra-consenso degli italiani si piazzano sempre in prima fila con l’abito buono. Un club a cui l’ultimo iscritto pare essere il premier uscente Giuseppe Conte, che ha goduto negli ultimi mesi di un privilegio niente male, l’afflato dei giornaloni a comporre paginate sul nulla, l’antimateria, ovvero un surreale “partito di Conte”. Un pezzo di establishment nel gioco della contrapposizione con Salvini sta spendendo proprio la faccia dell’avvocato del popolo, che potrebbe raccogliere i voti per un bis di una maggioranza alternativa, l’accozzaglia di tutti coloro che vogliono rinviare l’esercizio della democrazia, e probabilmente simili assist non se li aspettava nemmeno il segretario leghista. Fioccano poi appelli e disquisizioni in rete il cui tenore prestampato è “l’importante è fermare la Lega”, un livello di elaborazione politica rispetto a cui il buon Scilipoti acquisisce le sembianze di uno statista.