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Il Recovery fund è diventato un gran bazar

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Che bello deve essere sentirsi in tasca 205 miliardi e poter promettere a tutti un pezzo significativo della megatorta che si andrà a spartire. Tanto, per quanto togli, ne rimane sempre abbastanza. Basta lenzuola troppo corte, basta avidità: chiedete e vi sarà dato, è questo il motto del nostro presidente del consiglio, che in quella torta dovrà affondare il coltello per dividere le parti. Da ultimo le femministe dell’associazione “Giusto mezzo” hanno chiesto per le donne la metà delle risorse in arrivo, e Conte, senza un attimo tergiversare, ha risposto con un sì entusiasta: al secondo sesso sarà data una quota “significativa” della prelibata pasta. Non proprio la metà, per carità, perché ormai i sessi non sono più due ma mille come i colori dell’iride e, avrà pensato l’“avvocato del popolo”, presto anche quello Lgbt suonerà alla sua porta.

Venghino, lor signori, venghino. Al bazar Recovery fund ce ne è per tutti. Che poi non uno straccio di piano sia stato ancora preparato, che i “paesi frugali” siano ritornati alla carica per ridimensionare le nostre pretese, che la prima rata di quei soldi si allontani sempre più nel tempo e che comunque non un centesimo ci sarà dato senza un’opportuna verifica, questo per il nostro premier è solo un dettaglio.

Le promesse non costano nulla, e sono (politicamente) redditizie. E anche se sono mero flatus vocis, non hanno bisogno di quel correlato oggettivo che è la moneta sonante in saccoccia. Puro nominalismo, diremmo noi filosofi. Anche se il nostro, nonostante la giacca e la pochette di ordinanza, più che a Roscellino di Compiègne, rischia di assomigliare sempre più a Wanna Marchi.

Corrado Ocone, 15 ottobre 2020

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