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Un leader politico della Prima Repubblica ha detto in un talk show televisivo che per fortuna la politica estera dell’Ottocento non è più quella nostra. Per fortuna? Ma dobbiamo davvero salutare con gioia la scomparsa del concerto delle grandi potenze che, a partire dal 1815 – grazie alla ricostruzione dell’Europa dovuta al grande Metternich – assicurò al vecchio continente un secolo di pace e di progresso civile, economico e culturale?

Nell’Ottocento, politica e morale rimasero separate e i conflitti tra gli Stati sovrani limitati al piano degli «interessi»: furono sempre le armi a decidere quale pretese dovessero prevalere e furono i consessi diplomatici a ricostituire nuovi equilibri in modo che i vincitori non si allargassero troppo. Nessuno dopo Waterloo pensò a smembrare la Francia col rischio di alterare i rapporti di forza in Europa. Non fu la Realpolitik dei vecchi Stati a segnare la fine della pax metternichiana ma l’eticizzazione della politica, l’idea che nei conflitti bellici non fossero in gioco «biechi interessi», ma valori alti, beni irrinunciabili. Tale «stile di pensiero» trasformò ogni guerra in una crociata e ogni vittoria nella cancellazione del nemico sulla scena politica internazionale.

Ormai erano legittimati solo gli Stati portatori di idealità universali – la democrazia, i diritti individuali, le costituzioni. Fu così che la prima guerra mondiale, al fine di rendere il mondo «safe for democracy», fini per distruggere lo Stato austro-ungarico, creando quello spaventoso vuoto di potere da cui sarebbero emersi i diversi totalitarismi del Novecento, il rosso e il nero. Quando Bismarck annesse l’Alsazia-Lorena al Secondo Reich, allo sdegno morale espresso da ampi settori della società civile europea non fece riscontro, a livello politico, alcuna sanzione, alcuna rottura di rapporti diplomatici. Non ci fu alcun allarmismo sulla «crisi della civiltà».

Da allora le cose sono cambiate: la morale e il diritto hanno preso il posto della politica sicché non c’è più spazio per una politica «terra terra» che sia disposta a consentire sacrifici e amputazioni territoriali per evitare mali ben più grandi. Ormai vige il fiat justitia, pereat mundus. Machiavelli «se n’è ghiuto e soli ci ha lasciato».

Dino Cofrancesco, Il Giornale del Piemonte e della Liguria

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