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La teoria del cambiamento climatico è come il tacchino di Popper

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Non so voi ma a me, quando sento parlare di riscaldamento globale e di cambiamento climatico, viene sempre in mente la storiella del tacchino induttivista che mi raccontò una volta Karl Popper. La conoscete? No? Ve la racconto.

C’era una volta un tacchino che aveva un padrone che ogni mattina alle 9 gli portava il pasto. Il tacchino, però, era induttivista e prima di giungere a delle conclusioni affrettate volle fare delle scrupolose verifiche. Così si mise di buzzo buono e raccolse quanti più dati possibili facendo molte ma molte ma proprio molte osservazioni. Notò che il padrone gli portava il pasto alle 9 del mattino sia con il sole sia con la pioggia, sia con il freddo sia con il caldo, sia con il vento sia con la bonaccia e, insomma, cascasse pure il mondo ogni mattina puntualmente riceveva il pasto. Allora, molto soddisfatto delle sue induzioni il tacchino, che si dava arie da scienziato, poté ricavare la sua legge universale o di natura: “Ogni mattina alle ore 9 il padrone mi serve il pasto”. Purtroppo, la legge universale fu smentita la vigilia di Natale quando il padrone invece di servire il pasto al suo gallinaccio lo sgozzò per servirlo in tavola il giorno dopo.

La storiella del tacchino di Popper (e di Russel) è molto utile per capire l’attendibilità scientifica della teoria del cambiamento climatico. Infatti, il tipo di conoscenza che c’è alla base delle tesi del riscaldamento della Terra è la stessa usata dal tacchino induttivista: un continuo accumulo di osservazioni e di dati che, naturalmente, non può procedere all’infinito e ad un certo punto va messo un punto per tirare via una legge che, però – e qui è il punto! –  non è né universale né di natura ma appena appena generale e, quindi, vale finché vale ossia fino a quando non sarà smentita da altre osservazioni. La differenza tra la teoria del tacchino e la teoria del riscaldamento sta nel fatto che tutto sommato la teoria del tacchino è più attendibile e più “scientifica” perché i casi da osservare in fin dei conti sono abbastanza ridotti, mentre non si può dire altrettanto per la teoria del riscaldamento: in questo caso, infatti, per quanti dati si vorranno accumulare o ricavare attraverso i calcoli il risultato sarà sempre un’inezia al confronto nientemeno che della Natura.

Noi viviamo un tempo in cui la scienza facilmente diventa pseudoscienza. Ad esempio, quando c’era il colonnello Bernacca le previsioni del tempo erano fatte e date con garbo e con ironia; oggi, invece, le previsioni meteorologiche sono state elevate in modo presuntuoso a rango di scienza e attraverso il sistema della comunicazione  – insomma, quelli che dovrebbero essere i giornalisti –  si tende a divulgare un’immagine della Natura che non sta né in cielo né in terra, quasi come se la fisica moderna fosse diventata nuovamente la fisica di Aristotele che non a caso non era scienza ma metafisica. E oggi i discorsi intorno alla Natura – quella natura matrigna che Giacomino Leopardi immaginava come un enorme donnone assisa al centro dell’Africa – sconfinano proprio nella metafisica ossia in un discorso incontrollato e incontrollabile, meno attendibile delle chiacchiere al bar sport, mentre la scienza è proprio l’opposto: un sapere sperimentale, modesto, controllabile.