Biblioteca liberale

L’accusa inconsistente del Salvini fascista (Pietrangelo Buttafuoco)

Una delle caratteristiche che mi hanno sempre affascinato di Pietrangelo Buttafuoco, sia come scrittore sia come giornalista, è il fascino che su di lui esercitano le minutaglie. Ha un modo piuttosto originale di descrivere la realtà: si aggrappa ai suoi ordinatissimi appunti su blocchetto, che, in palese evidenza, non contengono mai il tutto ma una parte che viene appunto impiegata per spiegare al meglio il primo. Appare maniacale nel non vedere il panorama, per cercare il particolare.

E se vi capitasse per le mani Salvini e/o Mussolini (edito da PaperFIRST) ve ne rendereste conto immediatamente. Più di tanti altri suoi libri, quest’ultimo rende bene l’idea di questo originale modo di procedere e di scrivere. Il recensore svogliato potrebbe finirla là con l’introduzione e con il pippozzo sull’inconsistenza dell’accusa del Salvini fascio-leghista, ben scritta, per carità. O con il brillante saggetto conclusivo genialmente titolato: Da “Rita Hayworth a Elettra Lamborghini, ovvero il Salvini prima di Salvini”.

E in fondo pensare che ci si trovi di fronte all’ennesimo, inutile libro sul leader politico del momento. Una sorta di risposta al royal baby di Rignano, o qualcosa di simile, che fece Giuliano Ferrara, innamorato di Renzi. Il libro vero e proprio è invece, per chi scrive, quello che inizia a pagina 21 e gioca ritmicamente con le coppie di Oggi e Ieri, di Salvinismo e Mussolinismo, scelte con estro da Buttafuoco. Dal Dolcevita di oggi all’Orbace di lana grezza di ieri. Da Bella Ciao di oggi, icona sbiadita della Casa di carta, al Ciao Biondina della Gil. Dalla ferocia di Bibbiano in salsa Pd, alla ricerca di un capro espiatorio con Girolimoni.

In un passaggio di tempi, ma soprattutto di dettagli e di sfumature, tra leghismo e fascismo, che non hanno contatti, hanno solo descrizioni in comune. E che dire della favolosa Violet Gibson (penso che in pochi si ricordino) figlia del primo barone di Ashbourne e Lord Cancelliere d’Irlanda, che certo non aveva i dreadlock di Carola, ma piazzò un bel colpo in faccia al Duce.

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