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Le leggi tweet che uccidono l’economia, 3 esempi

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I nostri politici, soprattutto quelli progressisti, hanno adottato da tempo la politica legislativa del tweet.

Mi spiego meglio. Il titolo della legge deve essere pulito, efficace così da essere subito adottato dal giornalista unico e felice. 

 

Per combattere l’evasione fiscale, pensarono alle norme sul redditometro. Che nome perfetto. Si tratta della misura millimetrica del nostro tenore di vita da mettere in relazione al nostro reddito: se non dovessero collimare si presume l’evasione.

Passano gli anni e il redditometro (notizia di ieri del Sole-24 ore) va a finire in pensione. L’anno scorso ha scovato un imponibile evaso di due milioni di euro: mentre con sistemi alternativi il fisco ha recuperato 19 miliardi.

Insomma un flop. Eppure chi lo criticava al momento della sua introduzione veniva considerato un amico degli evasori.

Il ragionamento allora come oggi invece era banale: perché adottare uno strumento così invasivo della libertà personale e così  incapace di determinare, se non con l’immaginazione che non è ancora prova in tribunale, la possibile evasione? Dopo anni ce ne siamo accorti.

Possiamo dire che ha fatto pochi danni, ma ha fatto perdere molto tempo all’amministrazione e ai contribuenti. 

 

Diverso il tweet legislativo, chiamato codice degli appalti, approvato l’anno scorso e già modificato nel 2017. Doveva metterci al passo con l’Europa, altra meta tipica dei progressisti. Tra gli altri buchi, ha creato il pasticcio dei lavori in house.

L’idea era quella di incrementare la concorrenza. I poco più di venti concessionari autostradali (da Benetton a Gavio, da Toto alle società misto pubbliche) non potranno dare più di un quinto dei lavori di manutenzione e ammodernamento alle loro società di costruzione. L’idea era quella di incrementare per questa via la concorrenza e aiutare le piccole imprese di costruzioni.

Nessun paese europeo ha vincoli così stringenti: noi dobbiamo sempre fare i primi della classe, per poi essere fregati dai più svegli. Ma poi, riguardo la concorrenza, sorge oggi come allora una domanda: qualcuno davvero pensa che Benetton e Gavio per ammodernare le proprie autostrade abbiano un vantaggio a utilizzare le loro aziende a prezzi fuori mercato o con qualità scadenti?

Da una parte avrebbero guadagnato (con le imprese di costruzione) e dall’altra avrebbero perso (con l’impresa concessionaria).

Temiamo che le piccole imprese, così come il genere femminile, non si aiutino con le quote. E che abbassare la percentuale dei lavori in house al 20 per cento non migliori di pari passo la situazione competitiva nazionale. Anzi possa compromettere qualità delle manutenzioni e soprattutto tempi della loro realizzazione.

Il mercato non si realizza con i tweet e lunedì prossimo sarà paradossale assistere alla manifestazione dei sindacati delle società concessionarie che si lamentano dei tremila licenziamenti indotti proprio da questo codicillo. 

Il terzo esempio di una legge tweet è quella che sciaguratamente il Parlamento sta per approvare sotto il pomposo titolo: Codice antimafia.

Si tratta, per quanto riguarda questa zuppa e dunque con il cucchiaio attento alla libera impresa, di un insieme di norme che ne contiene una micidiale: il sequestro preventivo di beni e patrimonio a coloro che sono sospettati di corruzione.

La corruzione, come l’evasione, non ci piace, ma per la politica legislativa del tweet è qualcosa di più: un’emergenza. E all’emergenza si risponde con legge di emergenza (si fossero accorti in tempo piuttosto dell’emergenza immigrazione).

Se dovesse passare questa norma, e passerà, i Woodcock di questo paese potranno, con una certa agilità, non solo arrestare preventivamente, ma uccidere patrimonialmente chiunque sia sospettato di un illecito corruttivo. E i patrimoni una volta sequestrati entrano in un girone infernale, tra commissari, commissioni, gestioni, disposizioni, che quando ritornano indietro al legittimo proprietario, magari assolto o archiviato, subiscono una bella tosatura.

Appalti, corruzione, evasione, sono gli argomenti preferiti di chi vuole più regole e controlli. Sono i campi preferiti della legislazione dal titolo a effetto. Il danno che questi interventi arrecano al mercato sono mostruosi.

Dopo qualche anno ci si accorge, in genere, della stupidaggine fatta. Ma per molti imprenditori è troppo tardi.

Nicola Porro, Il Giornale 8 luglio 2017

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