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L’ottusità degli euroentusiasti

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Inutile girarci intorno: la grande assente della campagna per le elezioni europee è proprio l’Unione europea. Non ne parla più quasi nessuno, mentre tutto il dibattito (sia dentro che fuori il perimetro della maggioranza) verte su questioni interne, domestiche, a partire dallo scontro tra Lega e M5S.

Ma forse c’è una ragione particolare – non detta – per la quale è scomodo per molti discutere di Europa, in primo luogo per euroentusiasti ed eurolirici. Questi ultimi avrebbero indubitabilmente un argomento a loro favore: ma il guaio è che è facilmente reversibile a loro danno. Di che si tratta?

Dicono i pro-Europa (e su questo avrebbero ragione, in teoria): cari sovranisti italiani, non vi sarà facile costruire un’alleanza solida e duratura con i sovranisti degli altri paesi, perché su molti temi, a partire dall’immigrazione, i loro interessi sono spesso confliggenti con quelli italiani. Ergo – dicono – non potrà essere un’alleanza sovranista o euroscettica o conservatrice a riformare efficacemente l’Ue. C’è del vero in questo ragionamento, anche se su alcuni aspetti di fondo (ad esempio, un migliore controllo delle frontiere esterne e la rinazionalizzazione di diverse competenze) gli eurocritici potrebbero trovare una sintesi.

Ma il vero punto debole del ragionamento euroentusiasta è che finge di non vedere cosa sia accaduto negli ultimi cinque anni, in cui le forze euroliriche avevano una maggioranza schiacciante. PPE e PSE (con il supporto esterno dell’Alde e in molti casi dei Verdi) hanno goduto di un controllo pieno del Parlamento europeo, disponevano di quasi tutti i Commissari Ue e di una netta prevalenza nel Consiglio Ue. Insomma, disponevano di tutte le condizioni politiche e numeriche, se lo avessero voluto o se ne fossero stati capaci, per imporre la loro linea.

E invece? E invece su tutti i dossier decisivi (dall’immigrazione al riassetto dell’Ue) l’enorme maggioranza euroentusiasta non ha combinato nulla.

Di più: per anni, ha perfino rifiutato sdegnosamente di confrontarsi (anche sul terreno culturale) con posizioni di euroscetticismo liberale (un nome per tutti: quello del grande Antonio Martino), con la linea thatcheriana e pro mercato di chi indicava le contraddizioni e gli errori dirigisti della costruzione europea, senza per questo avere un approccio demolitorio.

Morale: avevano i numeri e non li hanno usati. Hanno rifiutato il confronto con l’euroscetticismo liberale. Ora facciano i conti (e sarà una nemesi dolorosa e meritata per gli eurolirici più ottusi) con l’euroscetticismo sovranista.

Daniele Capezzone, 13 maggio 2019