Esteri

Strage Usa, i numeri non mentono: vietare le armi non serve

La retorica mainstream sulla limitazione delle armi in America è confutata dai fatti

armi usa

In occasione di ogni strage, negli Stati Uniti o in qualsiasi altra parte del mondo, subentra a gamba tesa la solita retorica mainstream sulla limitazione delle armi, sulla necessità di legiferare norme più rigide e severe per l’acquisto di armi da fuoco. È successo dopo la carneficina di Anders Breivik, terrorista e neonazista norvegese, che nel 2011 ha provocato la morte di 76 persone con una bomba; si è riproposto dopo l’omicidio di George Floyd e, infine, con la recente strage in una scuola elementare dell’Uvalda, Texas, dove 21 americani hanno perso la vita.

Nel racconto anti-Usa d’eccellenza, in gran parte alimentato anche dalla stampa mainstream italiana, si sviluppa una principale corrente di pensiero: il problema è l’eccessiva libertà nell’acquisto delle armi, in contrapposizione alla meravigliosa normativa italiana ed europea. Anzi, i pistoleri per nome e per fatto sono i repubblicani, il cui partito è direttamente finanziato dalla National rifle associaton, la principale lobby a favore dei detentori di armi da fuoco. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Il Republican Party è un movimento composto da soli “John Wayne” e “Steve Mcqueen”, mentre la normativa degli Stati democratici costituisce la panacea di tutti i mali? La risposta è un secco no.

La figura sopra, ripresa dal periodico mensile Iriad, mostra il numero di armi vendute negli Usa, per un arco temporale dal 2000 al 2016. Si denotano almeno due aspetti fondamentali. Da una parte, i tre picchi storici nell’acquisto di armi da fuoco sono stati raggiunti nei due mandati presidenziali del Nobel per la pace Obama. Dall’altra, guarda caso con l’elezione di Donald Trump, la vendita di armi ha conosciuto una tendenza discendente, calando di oltre undici punti percentuali rispetto al precedente biennio obamiano.

Nell’accurata analisi, ci aiuta anche Alessandro Rico, giornalista de La Verità, che mostra inconfutabilmente come la realtà sia ben diversa rispetto ai fatti narrati. Rico prende in esame il caso della California, Stato con le norme più stringenti del Paese, ma che conta ben “23 sparatorie di massa: praticamente, quelle di Florida e Texas messi insieme, a dispetto dei loro regolamenti più laschi”. Non solo: la sparatoria più sanguinosa della storia, con oltre cinquanta persone uccise, è avvenuta nella sicura Las Vegas. Eppure, argomenta Rico: “Secondo la classificazione di World population review, il corpus legislativo sulle armi del Nevada appartiene alla categoria C+, su una scala che va dai severissimi Stati di fascia A, come il New Jersey, agli Stati «pistoleri» della fascia F, come lo stesso Texas”.

Ma non finisce qui. Rico sviscera un altro dato rilevante: in otto delle dieci metropoli americane con più omicidi, la popolazione prevalente è quella afroamericana. Si badi bene: con ciò non intendiamo dire che i neri abbiano un istinto naturale nel compiere atti criminali, ma “per motivi legati alla povertà e all’emarginazione, hanno una più alta propensione a delinquere ed a commettere crimini violenti”. I dati del 2019 dell’Fbi lo confermano: seppur gli afro siano poco meno del 14 per cento della popolazione Usatotale, sono stati responsabili del 56 per cento degli omicidi.

I dati si riflettono anche in Italia. Su un totale di 54 mila detenuti, più di 17 mila (31 per cento) sono stranieri, seppur questi ultimi costituiscano circa il dieci per cento della popolazione totale. Ed ecco spiegati anche i dubbi di una politica migratoria “a porte aperte”: il rischio di ospitare tutti, senza alcun limite richiesto, è un danno sia per “noi” che per “loro”, privi di mezzi per inserirsi nella società, per costruirsi una nuova vita, trascinandoli nel circuito della criminalità per sopravvivere.

È evidente, quindi, che “ad un inasprimento delle leggi non corrisponda una diminuzione della violenza”. E che, ad un inasprimento delle pene, non corrisponda una proporzionale diminuzione degli atti criminali – si badi sempre agli Usa, Paese dove è in vigore la pena di morte, ma che vanta percentuali di assassinii superiori rispetto a Stati senza l’esecuzione capitale.

No, cari lettori: non è colpa né dei repubblicani, né della destra pistolera e fascista. L’analisi di qualsiasi piaga sociale richiede un approccio distaccato, imparziale, terzo, senza il rischio di essere presi dalla foga emergenziale e criminalizzatrice. Ancora una volta, la narrazione mainstream è sbugiardata dai dati, quelli reali, obiettivi, concreti. Chissà come sarà il racconto della prossima strage americana. Si analizzerà il fenomeno oppure si isseranno le bandierine politiche? Noi un’idea ce la siamo già fatta.

Matteo Milenesi, 28 maggio 2022

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