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Suicidio Cinquestelle

Italian 5-Star Movement's candidate for the post of the Prime Minister, Luigi Di Maio (R), with Roberto Fico (L) and Alessandro Di Battista during the closing of the electoral campaign of the M5S in Rome, Italy, 02 March 2018. ANSA/ALESSANDRO DI MEO

I grillini non hanno certo bisogno dei miei consigli: sanno benissimo sbagliare da soli. Ma, battute a parte, la sensazione è che a loro stessi converrebbe riflettere autocriticamente sulla surreale linea politica che hanno scelto da qualche mese, sintetizzabile nella formula “un, due, tre, casino”.

Ripercorriamo le tappe di questo 2019: i grillini rimediano alcuni risultati – negativi ma tutto sommato prevedibili, trattandosi di elezioni amministrative – in Sardegna, Abruzzo e Basilicata. Come decidono di reagire? Sparando a palle incatenate contro il loro alleato, tutti i giorni, prima e dopo i pasti, come nelle prescrizioni mediche. Tre mesi di martellamento costante contro Matteo Salvini, ogni giorno una polemica, una battuta, un battibecco.

Risultato? Eccitazione delle gazzette giustizialiste, entusiasmo dello zoccolo duro più agitato e movimentista, ma tragico disastro elettorale, con il dimezzamento dei voti presi appena un anno prima.

Anche un bambino avrebbe capito il messaggio. Un conto era pensare (giusto) che chi li aveva votati il 4 marzo 2018 volesse spedire un sonoro “vaffa” ai partiti tradizionali; altro conto era ritenere (sbagliato) che il grosso di quegli elettori volesse il caos. Dentro quella platea elettorale c’era una minoranza ideologizzata (no Tav, no Tap, no tutto), ma una enorme maggioranza spoliticizzata, in fondo non così diversa dal resto dell’elettorato. A quell’amplissima quota di elettori sarebbe piaciuta (e piacerebbe) una linea “decidente”, fatta di qualche “sì” e non solo di un rosario di “no”.

E allora? E allora, alla vigilia delle Europee, sfidare quegli elettori, naturalmente refrattari a votare per i partiti tradizionali, li ha fatalmente indotti a percorrere due strade, entrambe devastanti per M5S: rifugiarsi nell’astensione, oppure premiare l’alleato di governo, l’odiata (da Di Maio) Lega. I risultati li conosciamo.

Incredibilmente, dopo il voto, la tarantella è ricominciata, con una manina (molti ritengono: grillina) che ha volantinato alla stampa una prima versione della lettera del ministro Tria alla Commissione Ue, determinando un’ennesima polemica da parte di Di Maio e la prevedibile controreazione del titolare del Mef.

La sensazione è che – per questa via – i grillini non usciranno dal tunnel. Sarebbe sbagliato chieder loro di adeguarsi in tutto al nuovo senior partner (Salvini); allo stesso modo, sarebbe ingenuo invitarli a far saltare tutto (con la regola del doppio mandato, il grosso di loro tornerebbe a casa). La via maestra sarebbe la terza, difficilmente praticabile per questi Cinquestelle: e cioè tirar fuori un’idea, un tema, una proposta, una policy (possibilmente: non del tipo “più tasse” o “più manette”), negoziare con la Lega l’inserimento anche di quella loro priorità nella nuova versione del contratto di governo, e mettersi a fare politica, cercando di convincere gli elettori. Missione impossibile?

Daniele Capezzone, 3 giugno 2019

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