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Tutta colpa di Sant’Antonio

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Il lettino c’è, il sole c’è, il mare pure… mia madre anche.

Tutto fa presagire una giornata di assoluto relax, d’altronde è domenica e niente, dico niente, potrebbe oltraggiare questo venticello ristoratore.

“Ti ricordi, vero?”

Faccio finta di non sapere, speravo in una sua dimenticanza.

“Che cosa?”

“Mi hai promesso che saremmo ritornate in tempo per la processione di Sant’Antonio

Addio aperitivo, addio tramonto in spiaggia, addio monti.

Mugugno, pacta sunt servanda. Mannaggia.

Oh venticello marino, consolami ancora un po’! Poi penseremo a Sant’Antonio.

“Ti ricordi?”

“Che cosa?”

“Stasera ognuno porta qualcosa, dopo la processione facciamo un rinfresco con quelli del paese”.

Rassegnata, chiudo gli occhi in cerca dell’oblio: oh venticello, stordiscimi!

Alle 16 mia mamma è già in agitazione, lo intuisco dal suo non far pace con il lettino e perché, guarda caso, a mezza voce parla tra sé e sé, dicendo che forse le manca ancora qualcosa e che, tornando, potremmo fare un salto al supermercato.

Contrariata mi chiedo per quale assurdo motivo io debba barattare quell’amato venticello… il tempo di questa riflessione, mi volto verso di lei ed è già in piedi vestita, con la borsa sotto braccio, in procinto di andarsene. Non è mai stata così rapida.

Mi arrendo.

Solo in cucina, a casa, trova requie, quando tutto è pronto.

“Andiamo un po’ prima? Così porto i piatti in canonica”

Mi lascio ormai trascinare dagli eventi, dalla caparbia materna e cammino con lei.

Nel piccolo tragitto, mano mano, incontro volti di quando ero bambina; i loro tratti sono più marcati e le linee del tempo indugiano sulla loro storia.

Altri non ci sono più.

Nuovi bambini con espressioni già viste si rincorrono sul sagrato della chiesa.

La chiesetta del mio paese è bellissima, forse l’architettura più dolce per conoscere Dio.

Sono tutti in attesa della cerimonia e cantano con forza, compatti come una falange oplitica, come se San’Antonio fosse lì.

A fine funzione, si parano davanti all’ingresso dei ragazzoni canuti con una muscolatura esercitata nei campi e arrossata dal sole, sorprendentemente disposti a inginocchiarsi, si sistemano ai quattro lati del baldacchino che sorregge il santo e, poggiandolo sulle spalle, lo innalzano vittoriosi.

 

Il curato dà il via alla processione e tutti, adagio adagio, lo seguiamo per le vie del paese.

In controluce osservo il profilo francescano della chierica, la serenità del bimbo e i gigli: li conosco da sempre.

Un passo alla volta si rinvigorisce una speranza non ben decodificata, eppure palpabile, una letizia nel guardare la vita, un rapporto, una semplice e corrispondente familiarità con la santità.

Vengo assoldata per il banchetto… qua in paese tutti danno una mano, sono api idustriose tese alla costruzione di un’opera grande di cui perfino io intuisco la bellezza.

Mia mamma, felice come una bambina, porta via la torta avanzata: “Questa la mangiamo a colazione”.

Fiorenza Cirillo, 27 giugno 2021

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