Affitti brevi, cosa c’è nel malloppo burocratico (e perché è folle)

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Dopo tanti annunci, il Ministero del turismo ha partorito una bozza di disegno di legge contenente una “disciplina delle locazioni di immobili ad uso abitativo per finalità turistiche”. Detto in altre parole: gli affitti brevi. L’intento del Ministero è indicato nell’articolo 1 del provvedimento: “Fornire una disciplina uniforme a livello nazionale volta a fronteggiare il rischio di un turismo sovradimensionato rispetto alle potenzialità ricettive locali e a salvaguardare la residenzialità dei centri storici ed impedirne lo spopolamento”. Tradotto dal giuridichese, significa che l’obiettivo è quello di far arrivare meno turisti nelle nostre città e la speranza (ma sarebbe meglio dire l’illusione) è quella di avere più residenti nei centri storici.

Come ogni testo normativo che si rispetti, anche questo presenta nella sua parte iniziale un articolo dedicato alle “definizioni”, vale a dire all’inquadramento dell’oggetto della regolamentazione. E le dolenti note iniziano già da qui. Si legge nell’articolo 2 che “per ‘locazione per finalità turistiche’ si intende il contratto di locazione con scopo turistico, quale vacanza, lavoro o altro motivo, avente ad oggetto il godimento di un immobile ad uso abitativo ubicato in un luogo diverso da quello di residenza della parte conduttrice…”. Avete letto bene, sì: per “scopo turistico” si intende anche quello di lavoro. “O altro motivo”. Insomma qualsiasi cosa, fate voi.

Il solo fatto che si sia chiamati a discettare su un testo normativo del genere è piuttosto deprimente. Se però si entra nel merito dei contenuti, l’umore non migliora.

Le principali disposizioni di questa bozza di disegno di legge, infatti, sono quelle contenute nell’articolo 5, “rubricato” (come si dice con linguaggio giuridico) in modo tale da non lasciare spazio ad equivoci: “Limitazioni delle locazioni per finalità turistiche” (che, come visto, sono anche quelle per finalità non turistiche, ma questa è un’altra storia).

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Faremo arrabbiare il Direttore di questa testata, ma in questo caso bisogna riportare le norme così come sono (anche perché qualcuno potrebbe dubitare della sintesi). Dunque, il primo comma di questo articolo dispone così: “A pena di nullità la durata minima del contratto di locazione per finalità turistiche non può essere inferiore a due notti, fatta eccezione per l’ipotesi in cui la parte conduttrice sia costituita da un nucleo familiare numeroso composto da almeno un genitore e tre figli”. Tutto ciò, “obbligatoriamente” in caso di immobili presenti nei centri storici delle città metropolitane (Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia).

La limitazione è invece rimessa alla decisione delle amministrazioni locali in una serie di altri comuni. Quali? Semplice (e che Nicola Porro si arrabbi pure): quelli “collocati nella classe ‘alta’ e ‘molto alta’ di densità turistica, secondo le rilevazioni effettuate dall’ISTAT ed espresse in termini di quarto e quinto quintile secondo la tabella di classificazione dei comuni adottata dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 182, comma 2-bis, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, hanno facoltà di applicare la limitazione di cui al primo comma”. Attenzione, però: “La previsione del termine minimo di durata di cui al comma 1 non si applica alle locazioni di immobili ad uso abitativo ubicati nei comuni classificati dall’ISTAT ‘a vocazione turistica’ aventi una popolazione inferiore a 5.000 abitanti e nei comuni non collocati nella classe ‘alta’ e ‘molto alta’ di densità turistica, di cui al comma precedente”.

Diceva Carlo Verdone nei suoi sketch degli anni Ottanta: “In che senso”?

Davvero, qui siamo al paradosso. Non solo si vorrebbe introdurre una disposizione di legge con la quale si vieta a un proprietario di dare in locazione il proprio appartamento per una sola notte, conseguentemente obbligando il turista (e il lavoratore, e chiunque, secondo quella strana definizione riportata sopra) a pernottare in un albergo o in una struttura similare. Non solo si prevede un’eccezione risibile in favore di famiglie con tre figli ormai sempre più rare. Ma addirittura si architetta un contorto meccanismo che mette in mano ai sindaci di una serie di Comuni la cui individuazione richiede una laurea, con le relative e altrettanto complicate eccezioni, la scelta se attivare o meno, nel loro territorio, il divieto di locazione per una notte.

Inutile andare avanti, inutile parlare del resto del provvedimento (c’è anche una parte, opportuna, che inizia a semplificare i complessi adempimenti amministrativi che gravano sui locatori). Le disposizioni che abbiamo descritto dovrebbero essere sufficienti per comprendere che non è questo il modo giusto per affrontare le questioni.

Giorgio Spaziani Testa, 1 giugno 2023

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