Aifa: “Zitromax inutile sul Covid”. Ma sulle cure non c’è chiarezza

Quanta confusione in merito ai protocolli per le terapie precoci. E l’Aifa si sveglia solo ora

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Notizia di ieri: in Italia sono quasi esaurite le scorte di Zitromax, cioè azitromicina, un antibiotico che è stato ampiamente usato come rimedio anti Covid. Purtroppo, a quanto pare, inutilmente: ci sono diversi studi effettuati sul campo che confermano che il farmaco non è utile per contrastare il Sars-Cov-2, benché molti medici – e persino molti ospedali, a quanto ci risulta – continuino regolarmente a prescriverlo ai pazienti, almeno quelli con forme lievi. Il punto è che, a quanto pare, gli italiani, in preda alla paura e alla confusione in merito ai protocolli per le terapie precoci, sono corsi a fare incetta di questo medicinale. E non è colpa loro, bensì di chi continua a glissare sui protocolli di cura per questa malattia, o addirittura si nasconde dietro una menzogna: “Le cure non esistono, c’è solo il vaccino”.

Non a caso, nel tardo pomeriggio di ieri, è intervenuta l’Aifa, che ha sottolineato come l’azitromicina non sia indicata per trattare il Covid-19. Grazie della delucidazione. Già, perché sarà anche vero che Zitromax è il farmaco sbagliato per il coronavirus (serve, semmai, come antibatterico), ma è davvero disturbante che il regolatore italiano intervenga per fare chiarezza proprio nel giorno in cui i media riferiscono che l’antibiotico sta sparendo dagli scaffali. E dopo che sia la stessa Aifa, sia le altre autorità sanitarie, sia il governo, hanno sostanzialmente sorvolato sulle terapie, o complicato inspiegabilmente l’iter per accedervi (almeno a paragone della facilità con cui si possono ricevere le dosi di Pfizer o Moderna).

Basti pensare all’assurda trafila che i pazienti a rischio devono attraversare per farsi somministrare i monoclonali: richiesta del medico di base, valutazione di tale richiesta da parte dell’Asl, parere dello specialista, validazione da parte della farmacia ospedaliera, trasporto in ospedale del malato, con ulteriore aggravio per i nosocomi… Benché il soggetto vada trattato entro pochi giorni dall’insorgere dei sintomi, così, si rischia di rimanere abbandonati anche per una settimana. E chi ha più sentito parlare degli immunosoppressori, come anakinra, farmaci peraltro già esistenti e già da anni prescritti per l’artrite reumatoide, che erano stati autorizzati per il trattamento della polmonite ingravescente da Covid? In che misura li stiamo somministrando? Sono disponibili per tutti? C’è una procedura cristallina, di cui anche il malato possa essere debitamente e preventivamente informato, affinché egli sappia che ha il diritto di ricevere questa cura, anziché essere solo collegato a un tubo dell’ossigeno?

Insomma, ci hanno lasciati per quasi due anni con “tachipirina e vigile attesa”; poi, la scorsa estate, hanno aggiunto la possibilità, in alcuni casi, di utilizzare sui pazienti dei preparati steroidei. Sulle terapie non c’è trasparenza, non c’è uniformità, soprattutto non c’è comunicazione, visto che tutti, dall’Iss in giù, parlano solo del sacro vaccino, preoccupati del fatto che qualcuno, reticente all’antidoto, prenda le cure come un’alternativa all’iniezione. E poi ci si meraviglia se la gente, impanicata, corre a procurarsi un antibiotico che è stato largamente impiegato e di cui si è sentito molto parlare? Ci si muove per smentirne l’efficacia solo quando un giornale racconta che quel farmaco di sta esaurendo? È questo il “modello italiano”?

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