La figura di Nicola Chiaromonte

Al vero democratico l’antifascismo non basta

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Diciamo la verità: un elemento non irrilevante del fascino che una figura intellettuale come quella di Nicola Chiaromonte suscita in noi liberali e conservatori è dovuto al fatto che egli fu fra i pochissimi intellettuali pubblici italiani che, dopo essere stato antifascista ed esule (a Parigi prima e a New York poi), combatté dopo la guerra in Italia un’altrettanto strenua battaglia contro il comunismo, e in particolare contro la penetrazione che il Comintern stava realizzando con successo nel campo delle scienze e delle arti occidentali.

Il monito perenne che Chiaromonte ci trasmette è che, per essere coerentemente democratici, non basta essere antifascisti ma bisogna essere con lo stesso rigore e coerenza anche anticomunisti. La malafede di cui egli parlava, indicandola come cifra del suo e del nostro tempo, era proprio questo: l’opportunismo con cui l’intellettuale éngagés (rappresentato da Sartre a cui il concetto di malafede era stato strappato) asservisce al potere e alle idee del proprio tempo lo scopo stesso della sua attività: la ricerca della verità e la fedeltà ad essa. Il tempo della malafede fu il titolo che egli detto a una conferenza che tenne a Firenze il 24 giugno 1952, ad inaugurazione della sezione fiorentina dell’Associazione italiana per la libertà della cultura, un organismo, ampiamente ostracizzato,  che faceva parte di un network mondiale di riviste e enti che cercavano appunto di contrastare l’influenza comunista sul mondo della cultura.

Gli unici italiani di rilievo che avevano risposto all’appello, oltre al vecchio Benedetto Croce, furono proprio Silone e Chiaromonte, che insieme poi dirigeranno un altro organo del Congresso mondiale per la libertà della cultura, la rivista Tempo presente. Uscita fra il 1956 e il 1968, il periodico è anch’esso un unicum nel panorama editoriale italiano del suo tempo: sia per la scelta dei temi sia per quella dei collaboratori, entrambi di respiro internazionale, La rivista era una vera e propria palestra sprovincializzante per quella cultura monopolizzata dai comunisti e da coloro che si definivano non comunisti ma nemmeno anticomunisti: azionisti che, come Calamandrei e Bobbio, volevano gettare un “ponte” e aprire un “dialogo” coi rossi nella vana speranza di una loro evoluzione democratica. Intellettuali di fatto funzionali agli scopi di egemonia culturale di Roderigo di Castiglia, cioè di Togliatti, che senza troppi complimenti li considerava con dire sprezzante “utili idioti”. Un gioco a cui Chiaromonte non partecipò, scrivendo anzi un aureo opuscolo per l’Associazione in cui le pulsioni illiberali, l’essenza totalitaria, del comunismo venivano smascherate una per una: lo chiamò ancora Il tempo della malafede ma aggiunse come sottotitolo affinché non ci fossero equivoci Il comunismo e gli intellettuali.

Chiaromonte non era un uomo di destra, potrebbe definirsi un socialista libertario o addirittura un anarchico. I suoi riferimenti intellettuali erano i suoi amici del periodo americano, con cui  collaborava anche dall’Italia – Dwight Macdonald, Mary McCarthy e Hannah Arendt sopra tutti – e Albert Camus, vera e propria anima gemella con cui aveva fra l’altro intrattenuto una significativa corrispondenza pubblicata recentemente da Neri Pozza. L’odio per i comunisti non risale però al periodo americana, bensì a quella guerra di Spagna a cui partecipò nel gruppo aereo dello scrittore francese André Malraux e che, come George Orwell e il suo “maestro” Andrea Caffi, lo vide ritrarsi inorridito dal doppio gioco e dalla violenza dei figliocci di Stalin.

La ricerca della verità e della moralità in politica lo avvicinava a Simone Weil, alla cui fortuna contribuì non poco facendola conoscere, dopo averne letto alcune pagine,  a Camus e agli amici americani. Come tutti i libertari, Chiaromonte  era intransigente, e quindi impolitico, ma la sua fermezza non significava altro che amore per l’individuo, coscienza della sua irriducibilità, lotta al Potere in tutte le forme in cui si manifesta. A chi credeva che la salvezza dell’uomo può venire dal comunismo, rispondeva che ci si salva solo uno per volta. Tutte le sue opere sono state raccolte quest’anno, in occasione del cinquantesimo della morte, in un bel Meridiano Mondadori. Domani a Roma, fra Istituto Sturzo e Senato, si svolgerà una giornata di studi a lui dedicata dal titolo significativo: Nicola Chiaromonte, o del pensiero libero.

Chiaromonte ci ricorda quello che la cultura italiana avrebbe potuto essere e non è stata per colpa soprattutto della sinistra.

PS: Qualche anno fa c‘è stata una vasta operazione di delegittimazione morale del Congresso e di Tempo presente: sono stati infatti trovati documenti che mostravano che dietro la loro azione per la libertà della cultura c’era come finanziatrice la Cia. Tanto rumore e una vasta ondata di indignazione sulla stampa mainstream, non solo italiana. A noi invece viene in mente di commentare con una sola parola: embè?

Corrado Ocone, 28 aprile 2022

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