E se le autocrazie fossero messe peggio delle democrazie liberali?

Xi si ritrova con un alleato sull’orlo dell’implosione. Con dinamismo economico e pluralismo politico l’Occidente è in grado di rispondere alla sfida degli autoritarismi

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Sembrava, a un certo punto, che le democrazie stessero per cedere alle due grandi autocrazie del nostro tempo. Da un lato un Occidente in crisi, con la nazione leader, gli Stati Uniti, scossa da profonde lacerazioni interne e governata da un presidente debole e anziano. E con l’Unione europea che spesso marcia in ordine sparso e incapace di svolgere un ruolo di rilievo in ambito internazionale.

Il caos russo dimostra, invece, che è insensato dare per morta in anticipo la democrazia liberale. Proprio come accadde nel secolo scorso, quando essa fu in grado di reagire alla sfida autoritaria del comunismo vincendo la Guerra Fredda grazie al dinamismo economico e al pluralismo politico, sempre fecondo e portatore di benefici a lungo termine.

L’imbarazzo di Pechino

Possiamo chiederci, infatti, che cosa resta dell’alleanza “senza limiti” stipulata non molto tempo fa da Vladimir Putin e Xi Jinping. Ben poco, si può rispondere senza ombra di dubbio. I due regimi, l’uno (la Cina) dichiaratamente marxista-leninista, l’altro (la Russia) che discende dalle medesime radici, si trovano ora a fronteggiare crisi diverse, ma egualmente pericolose.

Il silenzio gelido e imbarazzato di Pechino mentre le truppe della Wagner scorrazzavano in Russia senza incontrare la benché minima resistenza, e mentre un personaggio come Evgenij Prigozin lanciava senza remore i suoi proclami, lascia intendere che nemmeno i dirigenti cinesi si attendevano un simile caos.

Erano ovviamente al corrente dell’attuale debolezza russa, del resto nota a tutti viste le enormi difficoltà incontrate in Ucraina. Tuttavia, era difficile indovinare che lo zar moscovita avesse un così scarso controllo del suo Paese. E invece tutti, cinesi inclusi, ora hanno capito che la Federazione Russa rischia l’implosione interna, e che Putin non possiede più la bacchetta magica che finora gli aveva consentito di tenere uniti i vari pezzi che la compongono.

Colpa del cattivo andamento della guerra in Ucraina, certo. Ma colpa, anche, di un sistema politico appiattito su una sola persona, del resto incapace di scegliere collaboratori affidabili ed efficienti. Basti pensare al ministro della difesa Sergej Shoigu. Per Prigozin è facile dimostrare che è un incapace e che, in realtà, a combattere duramente sono stati soltanto i suoi mercenari della Wagner.

Un alleato troppo debole

La Repubblica Popolare dovrà quindi ripensare la sua strategia internazionale. Si ritrova come alleato un Paese sull’orlo dell’implosione, e che non può più garantire l’appoggio totale sulla questione di Taiwan, questione sulla quale Pechino rischia di restare più isolata di quanto sembrava.

Si aggiunga un altro elemento importantissimo. Pechino e Mosca si muovevano di conserva per rendere il gruppo dei Brics sempre più influente sul piano globale, ovviamente in funzione anti-occidentale. Ora questo non è più possibile e gli altri membri si muoveranno in maniera più autonoma. Si pensi, per esempio, all’India di Narendra Modi. Biden forse s’illudeva di attirarla nella sfera d’influenza Usa. Ma il leader ultranazionalista indù si fa, come si suol dire, gli affari suoi, e accetta solo offerte di chi gli appare come il migliore offerente (e non può essere la Russia, ovvio).

Anche Xi Jinping deve affrontare una crisi economica e sociale sul piano interno, della quale si parla poco, ma che rischia comunque di essere altrettanto dirompente di quella che sta fronteggiando (o cerca di fronteggiare) il suo sodale Putin.

Il “nuovo imperatore” si ritrova dunque senza alleati potenti e affidabili, cosa difficile da immaginare solo pochi mesi orsono. L’imprevedibilità della situazione russa rende dunque il quadro internazionale ancora più incerto. Anche perché la Federazione Russa possiede un enorme arsenale nucleare e, a questo punto, non è chiaro chi sia in grado di controllarlo.

Gli anticorpi delle democrazie

Ma, ripeto, il punto essenziale è un altro. Pur con tutti i loro difetti, le democrazie liberali, grazie alla grande flessibilità del loro sistema politico, riescono sempre a produrre gli anticorpi per superare i momenti difficili.

Non è così per le autocrazie di matrice comunista, e non è un caso che lo stesso Putin abbia parlato in termini negativi del 1917 e della Rivoluzione bolscevica. Forse facendo venire i brividi alla mummia di Lenin, tuttora imbalsamata nel suo mausoleo di granito sulla Piazza Rossa.

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