La destra spagnola dovrà capire che non può vincere senza catalani e baschi

Se il centrodestra vuole governare, e mantenere l’unità della Spagna, non ci sono alternative ad alleanze di governo plurinazionali e plurilinguistiche

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Il risultato elettorale spagnolo di qualche giorno fa è stato una doccia fredda per il Partito Popolare di Alberto Núñez Feijóo che, sulla base tanto dei sondaggi quanto delle recenti elezioni regionali, si aspettava un percorso facile verso la Moncloa.

I numeri

Era chiaro che in nessun caso i Popolari potessero arrivare ad una maggioranza assoluta, ma la maggior parte delle previsioni li vedevano chiaramente al governo, grazie al sostegno della destra nazionalista di Vox – che fosse attraverso una coalizione formale o attraverso la forma dell’appoggio esterno.
Invece i numeri non ci sono. E non ci sono malgrado la destra sia largamente avanti nella maggior parte delle comunità regionali spagnole.

A fronte di una maggioranza richiesta di 176 seggi, PP e Vox ne ottengono in tutto 172, mentre 171 vanno all’attuale maggioranza di Sánchez e 7 agli indipendentisti di Puigdemont. Se, però, scorporassimo dal conteggio, la Catalogna e i Paesi Baschi, il quadro sarebbe 162 seggi per la destra e appena 115 per l’area di Sánchez, cioè quello di una vittoria schiacciante e “strutturale” per i conservatori.

Il fattore indipendentista

Il problema è che la destra non raccoglie praticamente nulla in Catalogna (8 seggi su 48) e nei Paesi Baschi (2 seggi su 18). Sono numeri che non fotografano una normale varianza tra regioni nella distribuzione dei seggi all’interno di un normale bipolarismo, ma il fatto che Popolari e Vox in Catalogna e Paesi Baschi sono percepiti come forze straniere e, in larga misura, “occupanti”.

Insomma, il punto è che la Catalogna e i Paesi Baschi non sono due regioni in cui la destra “prende un po’ meno voti”, come potrebbero essere la Toscana o l’Emilia Romagna, e in cui si può cercare di prenderne un po’ di più. Sarebbe, piuttosto, come se in qualche regione italiana cercasse voti la destra francese o tedesca, anziché un centro-destra autoctono.

Il vero problema, rispetto al passato, è che la destra spagnola si è giocata completamente il rapporto con le forze di centrodestra basche e catalane. Nel 1996 José Maria Aznar arrivava alla Moncloa con i voti del Partito Nazionale Basco e dei catalani di Convergenza e Unione. Oggi questo tipo di alleanza sarebbe impossibile.

Strategia fallimentare

Siamo in una condizione in cui il Partito Popolare sta, sostanzialmente, puntando tutto sulla possibilità di prendere, nel resto dalla Spagna, sufficienti voti per neutralizzare il voto dei cittadini baschi e catalani ed imporre loro un progetto politico “uninazionale-castigliano”.

Si tratta di un progetto tendenzialmente fallimentare, al punto che solo appena due volte, nella storia delle elezioni spagnole (2000 e 2011), la destra è riuscita ad esprimere una maggioranza parlamentare autosufficiente.

La questione principale è, però, che il successo di una simile strategia è difficile anche augurarselo, in quanto discutibile nei propri fondamenti ideologici e morali. Un centrodestra deve vincere perché fa prevalere la sua visione economica e sociale, non perché impone un’identificazione nazionale forzata a comunità politiche che non la sentono propria.

Una moderna visione conservatrice

Non è più tempo di “imperialismi”. Il centrodestra di oggi deve riconoscere, coltivare e valorizzare l’identità nazionale, ma ciò deve avvenire sempre nel rispetto delle identità storiche e culturali altrui – anzi questa è proprio la chiave di una visione modernamente conservatrice dell’Europa, quella di un’Europa delle nazionalità e delle diversità.

Se si vuole mantenere l’unità della Spagna, non ci sono reali alternative al fatto che la destra ne riconosca il carattere plurinazionale e diventi in grado, come lo sono i Socialisti, di costruire alleanze di governo plurinazionali e plurilinguistiche – allo stesso modo in cui ciò avviene in Belgio o in Svizzera.

Fino ad allora, non potrà che governare la sinistra che è in grado di compensare i suoi profondi limiti con quel minimo sindacale di sensibilità per le differenze culturali e nazionali che ancora manca dalle parti dei conservatori.

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