Liz Truss paga anche le divisioni nei Tories. Clamoroso ritorno di BoJo?

Mai un premier durato così poco: scelte suicide di Truss, ma anche errori di un partito sull’orlo dell’implosione. Johnson starebbe valutando il ritorno “nell’interesse nazionale”

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I 45 giorni di Liz Truss a Downing Street diventeranno ben presto materia di studio nei libri di storia. Mai, in passato, un primo ministro era durato così poco nel Regno Unito. Mai, in passato, si è assistito ad una simile dabbenaggine nelle scelte di un capo del governo, capace di auto-distruggersi in meno di due mesi.

Tory sull’orlo dell’implosione

In realtà, Liz Truss paga non soltanto i suoi errori, ma quelli di un Partito Conservatore sull’orlo dell’implosione.

Dopo avere fatto fuori Boris Johnson, i Tories si sono fatti la guerra sul suo successore e, quando il candidato del gruppo parlamentare, Rishi Sunak, è stato bocciato dagli iscritti al partito, hanno pensato bene (cioè, male) di riprendersi il controllo del governo in Parlamento.

Gli errori di Truss

Le scelte suicide di Truss hanno fatto il resto. Giusto spingere per un taglio delle tasse, ma presentarlo senza garantire alcuna copertura finanziaria ha avuto un effetto contro-producente, destabilizzando i mercati e la sterlina.

Da quel 23 settembre in cui il mini-budget è stato introdotto dal primo ministro ai Comuni, i Conservatori One Nation – l’ala più moderata del partito – non hanno più dato tregua a Truss, che è riuscita a inimicarsi anche i suoi sostenitori, come dimostrano le sollevazioni dall’incarico di ministri di Kwasi Kwarteng e Suella Braverman.

Mentre Truss cercava di perseguire la sua politica post-thatcheriana, qualcuno nel partito faceva notare che nel programma delle elezioni del 2019 non c’erano né i tagli alle tasse per le imprese, né la rimodulazione delle aliquote sulle persone fisiche.

Quel qualcuno era stato “purgato” dalla leader Tory al momento della nomina dei suoi ministri – tutti o quasi appartenenti alla destra del partito – con la messa ai margini dei candidati più vicini allo sfidante Rishi Sunak. Così facendo, Truss ha fornito un’autostrada al centro al Labour, che ora guida i sondaggi con 30 punti di vantaggio.

Un clamoroso ritorno?

Quello spazio al centro che l’ex leader Boris Johnson non ha mai lasciato a Sir Keir Starmer, il leader laburista. L’ex premier – forse pronto di nuovo a gettarsi nella mischia – aveva capito meglio di altri che l’elettorato Tory era cambiato nelle elezioni del 2017 e del 2019 e, alle tradizionali constituencies del sud e sud-est del Paese, si erano aggiunte quelle delle zone post-industriali del nord-est, poco inclini a percepire un messaggio thatcheriano e molto più ricettive nei confronti di politiche vicine alla working class.

Il conservatorismo pragmatico di Johnson suggeriva di percorrere altre politiche rispetto a quelle tradizionali in casa Tory.

Nel giorno del suo addio, nello scorso mese di luglio, Johnson aveva lasciato intendere che sarebbe tornato. Nessuno si aspettava che questo rientro avvenisse così in fretta, ma pare Boris lo stia valutando anche, dicono i più vicini a lui, “nell’interesse nazionale”.

Tra gli altri candidati forti a diventare nuovo leader, Rishi Sunak si ripresenterà dopo essere stato sconfitto da Truss a settembre, mentre Penny Mordaunt, Leader della Camera dei Comuni – sorta di ministro per i rapporti con il Parlamento – starebbe riflettendo sul da farsi.

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