Pechino si prende gioco del Vaticano e Papa Bergoglio porge l’altra guancia

Papa Francesco approva il nuovo vescovo di Shanghai nonostante la violazione dell’accordo da parte cinese

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Sabato 15 luglio si è avuta conferma della nomina, da parte di Papa Francesco, del 53enne Giuseppe Shen Bin come nuovo vescovo di Shanghai, la diocesi cattolica più importante della Repubblica Popolare Cinese. Potrebbe sembrare una notizia irrilevante, ma non lo è affatto.

Mani libere di Pechino

Ignorando l’accordo sottoscritto con la Santa Sede nel 2018, e poi rinnovato nonostante l’ostilità di gran parte del mondo cattolico, il governo di Pechino sta procedendo a nominare vescovi di sua fiducia (il che significa vicini al Partito comunista) senza chiedere il parere preventivo del Vaticano.

Eppure questa era per l’appunto la chiave del suddetto accordo. I vescovi cinesi devono essere nominati con l’accordo tra le due parti, governo cinese da un lato e Santa Sede dall’altro. Invece tutto questo non è avvenuto. Mons. Shen Bin è stato trasferito dalla diocesi di Haimen a Shanghai, dove è stato installato come nuovo vescovo.

Si noti, però, che la Santa Sede non ha svolto alcun ruolo nel trasferimento, e ne è stata informata soltanto a cose fatte. Con questa mossa Pechino ha fatto chiaramente capire di attribuire ben poca importanza all’accordo, pur firmato in forma ufficiale. In altri termini, vuole avere le mani libere in materia di nomine vescovili, ritenendo che esse rientrino di buon diritto nella sovranità della Repubblica Popolare. Ma allora, molti si chiedono, perché rinnovare l’accordo?

Il “realismo” di Francesco

In realtà, è stato proprio Papa Bergoglio a imporsi dicendo che esso “va bene”, così superando le tante obiezioni provenienti da molti settori del mondo cattolico. Secondo l’interpretazione più accreditata, si tratterebbe di una mossa realistica: meglio essere presenti in Cina con un accordo tutto sommato fasullo, piuttosto che risultare completamente assenti

Si tratta ora di capire quali siano i reali vantaggi per la Santa Sede. Si noti infatti che Mons. Shen Bin è anche presidente della Conferenza episcopale cinese. A dispetto del nome altisonante, si tratta di un organismo mediante il quale Pechino controlla strettamente i cattolici presenti nella Repubblica. Il vescovo Shen Bin, inoltre, è pienamente allineato alle posizioni ideologiche del Partito comunista sul cui appoggio, infatti, ha potuto contare per la sua nomina non concordata con Roma.

Posizioni terzomondiste

Le molte proteste non hanno scalfito la volontà di Jorge Beroglio il quale, tra l’altro, sta procedendo a tutta forza a nominare suoi fedelissimi nelle posizioni chiave dello scacchiere vaticano, ovviamente in vista della sua successione.

Le critiche, tuttavia, stanno aumentando, anche in contesti importanti come quello tedesco. L’accusa – non certo nuova – rivolta al Pontefice argentino è di aver condotto la Chiesa su posizioni troppo terzomondiste, ignorando gli episcopati europei e americani.

E, infine, una malignità piuttosto diffusa. Alcuni pensano che Papa Bergoglio, non sufficientemente critico con i regimi dittatoriali di sinistra come quelli cubano e venezuelano, provi pure una certa simpatia per il regime cinese, visto come contrappeso alla potenza Usa. Fantasie, forse, che solo la storia futura potrà confermare o smentire.

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