Perché sono le nazioni dell’Est a resistere al centralismo anti-nazionale Ue

Il complicato rapporto tra Bruxelles e le capitali dell’Est rivela la vera natura dell’Ue: elitaria, tecnocratica, statalista

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Secondo gli euroburocrati e gli europeisti una crisi non dovrebbe mai andare sprecata. Le crisi, infatti, costituirebbero il mezzo ideale per muovere verso “un’unione sempre più stretta”, ossia per trasformare l’Unione europea in un super-stato centralizzato. Si tratta di una tendenza che rivela la natura elitaria, tecnocratica, statalista della burocrazia europea che, non tenendo in debito conto le volontà nazionali, rischia di far fallire il progetto di una casa comune.

Il centralismo dell’Ue

L’esperimento europeo, come rilevato da molti studiosi, tra i quali l’italiano Corrado Ocone, ha sedotto numerosi politici e decisori pubblici proprio in virtù di questa sua dimensione “sofocratica” e sovranazionale, al punto tale da aver generato una tecnocrazia che non solo ha dominato tutto il progetto, ma che ha assunto una vita propria sottratta al controllo di coloro che doveva servire, ovvero i popoli europei.

Inoltre, entusiasmati dall’ideale cosmopolita dell’Unione, molti intellettuali e studiosi hanno abbandonato la loro imparzialità, minimizzando il crescente disagio di quanti si sentivano privati di sovranità e identità. Questa filosofia politica post-sovrana e post-nazionale ha prodotto un declino della democrazia a livello nazionale, senza averla rafforzata a livello sovranazionale.

Il corpo europeo è stato modellato da due forze in tensione tra loro: i tentativi di conservare le prerogative degli stati nazionali e gli sforzi di accentramento da parte dei funzionari europei. Il centralismo europeista non è un fenomeno degli ultimi anni, bensì un processo promosso già dal primo presidente della Commissione europea, Walter Hallstein, per il quale l’Ue doveva diventare una struttura transnazionale, dunque anti-nazionale, governata in via esclusiva dalle grandi istituzioni continentali.

La resistenza della nazioni dell’Est

Lo scontro tra poteri nazionali e sovranazionali continua tuttora. Nel 2021, ad esempio, il Tribunale costituzionale polacco ha messo in discussione il principio della supremazia della Corte di giustizia europea sulla costituzione nazionale, sostenendo che alcune sue sentenze contrastavano con una serie di articoli.

Secondo i giudici polacchi, la Corte utilizzerebbe il diritto dell’Ue per minare l’indipendenza del supremo tribunale polacco. Un modo per dire, come già fece la Corte costituzionale tedesca, che la Ue è un derivato degli Stati membri, che a loro volta incarnano le volontà dei popoli, che non possono essere scalzate da organi sovranazionali.

Non è un caso che siano soprattutto le nazioni dell’Europa centrale a opporsi al verticismo della Ue. Secondo l’intellettuale polacco Marcin Król, la visione anti-nazionale, dissimulata sotto le mentite spoglie dell’avversione al nazionalismo, sottovaluta il potenziale positivo del patriottismo nella promozione della libertà, della democrazia e della pace.

Il politico e accademico polacco Ryszard Legutko, nel suo libro, ovviamente non tradotto in italiano, “Demon in Democracy: Totalitarian Temptations in Free Societies”, scrive che “l’atteggiamento richiesto alla nazione appena liberata non era quello della creatività ma del conformismo […] Istituzioni, istruzione, costumi, diritto, media, lingua, quasi tutto è diventato all’improvviso una copia imperfetta degli originali che si trovavano nella linea del progresso davanti a noi”.

Numerosi Stati membri, a partire da quelli mitteleuropei, sono stati accusati di “arretratezza” in materia di stato di diritto, laicità, diritti civili; non sufficientemente allineati al “progresso” incarnato dalle istituzioni dell’Ue, pertanto bisognosi di un intervento correttivo esterno.

Inoltre, i funzionari dell’Unione, indifferenti alle storie nazionali, hanno denunciato come “illiberali” riforme della giustizia che, a ben vedere, si ponevano obiettivi autenticamente liberali. Come ha spiegato il politico sloveno Janez Janša in un’intervista rilasciata al Visegrad Post:

Nulla è cambiato in modo significativo dal sistema comunista. La sinistra sta dominando totalmente la magistratura – la stessa famiglia del passato: persone che hanno violato i diritti umani, che ci hanno mandato in prigione in epoca comunista. Sono ancora operativi nel nostro sistema giudiziario. Ma quando proviamo a fare delle riforme democratiche, veniamo accusati di interferire con l’indipendenza della magistratura.

La “cristofobia”

Vale anche la pena esplorare un ulteriore elemento di frattura tra le élites sovranazionali e i popoli: la religione cristiana. Nei lunghi decenni dell’oppressione comunista, il cristianesimo è stato un faro di significato per le popolazioni dell’Europa centrale. Il cristianesimo, come sottolineato dal filosofo polacco Marek Cichocki, ha rappresentato una forma di resistenza contro il totalitarismo.

Al contrario, per i tecnocrati europeisti, la fede cristiana altro non è che un elemento regressivo da marginalizzare. Lo studioso ebreo Joseph Weiler ha coniato il termine “cristofobia” per qualificare l’atteggiamento negativo delle élites europee nei confronti della loro eredità cristiana.

Estasi anti-nazionale

Nemmeno l’aggressione russa dell’Ucraina ha indotto la Ue a rinunciare alle sue intimidazioni nei confronti della Polonia, che sta svolgendo un ruolo di primissimo piano nel sostegno a Kyiv, così come la crisi delle materie prime non ha frenato il fanatismo ambientalista dell’euroburocrazia.

Gli ucraini combattono per la loro libertà e sovranità, ideali che hanno sempre incontrato la diffidenza, quando non il disprezzo, degli eurocrati. Il fatto che gli ucraini, in questa lotta sacrosanta per la libertà nazionale, abbiano trovato una momentanea sponda nella Ue, non deve creare illusioni sulla natura profonda dell’Unione.

Lo spirito dell’Europa, di cui l’Ucraina è da sempre partecipe, sta soffocando, strangolato da un apparato meramente formale e burocratico che impone, secondo la felice formula di Shmuel Trigano, “l’ideologia della fine dei territori”, a vantaggio di un affollamento di nazioni – o di quel che ne rimane – regolate da una governance tecnico-economica.

L’Europa, se vuole sopravvivere, dovrà superare la sua estasi anti-nazionale e post-storica. Un ordine internazionale equilibrato e duraturo può essere ripristinato e garantito solo da nazioni democratiche e sovrane disposte a lottare per esso.

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