L’egemonia culturale si è realizzata davvero. Ed è gramsciana

Gramsci un pensatore totalitario. Nel mirino del pensiero unico egemone oggi non solo presunti fascisti, ma anche liberali e conservatori

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I concetti di “intellettuale collettivo” e di “egemonia culturale” nascono nella mente di Antonio Gramsci essenzialmente come strumenti per la conquista del potere. ll pensatore sardo, nell’elaborare l’idea del partito come intellettuale collettivo destinato a dominare la società mediante la conquista della cultura, aveva in vista fini esclusivamente politici.

Voleva insomma tracciare una via che, pur inserendosi nel filone classico del marxismo, se ne discostava in modo originale sottolineando il valore fondante del fattore culturale. Non più concepito – alla stregua dei padri fondatori – quale mera sovrastruttura dipendente dalla sfera dell’economia.

Ambizione di dominio, insomma, per facilitare e rendere più appetibile l’avvento al potere, che Marx considerava inevitabile, della classe incaricata di far sorgere l’uomo “nuovo”, e di porre così fine alla storia e ai conflitti che la caratterizzano sin dalle origini del genere umano.

La lotta tra uguaglianza e libertà

In realtà, è impossibile comprendere il pensiero gramsciano se si prescinde dalla lotta costante che negli ultimi secoli ha contrapposto il principio democratico al principio della libertà. Tanti restano attoniti nel sentir parlare di questa lotta perché sono troppo abituati a considerare tali principi come affini e strettamente correlati.

E invece uguaglianza e libertà risultano compatibili solo se l’una cede qualcosa all’altra, e viceversa. Poiché non è vero che gli esseri umani siano tutti uguali: la natura e la storia dimostrano che non è così. Si può renderli uguali soltanto in base a dichiarazioni di principio che sono, proprio in quanto tali, astratte. L’uguaglianza assoluta si ottiene – ammesso che la si possa realizzare per davvero – solo a scapito della libertà individuale.

E proprio questo è l’intento di Gramsci, grande nemico del liberalismo politico. Ai suoi occhi la democrazia può giungere a compimento solo se la libertà si svincola dal liberalismo, abbandonando la sua astrattezza e passando a un’epoca di democrazia “organica” che metta in crisi i limiti che lo Stato di diritto si è autoassegnato.

A quel punto il diritto nascente, che sorge dalle classi subalterne, avrà modo di procedere all’identificazione tra diritto e Stato con il fine ultimo di giungere all’estinzione dello Stato stesso. Il diritto nuovo deve dunque diventare volontà etica collettiva superando il formalismo del diritto come è stato finora inteso.

L’individuo non ha esigenze proprie che debordano dai confini del soggetto collettivo. Non esiste di conseguenza una “libertà liberale”, poiché la libertà si declina soltanto nell’ambito del gruppo, né è possibile scindere etica e politica. Sullo sfondo c’è l’idea di un’umanità unificata e autocosciente di essere il vero e unico motore della storia. Una sorta di globalizzazione ante litteram, anche se con un significato diverso da quello oggi in uso.

Pensatore totalitario

Tali sono dunque le premesse che spiegano il senso dell’intellettuale collettivo e della egemonia culturale. Dal che appare chiaro che non si può reagire a Gramsci restando unicamente sul piano politico contingente, fermandosi alla mera presa del potere.

Se lo si vuole criticare in modo serio occorre risalire alla sua convinzione che esista una Storia con la “S” maiuscola, che vi sia una particolare classe destinata a farla entrare nella fase finale e definitiva (priva di conflitti), e che si diano parimenti delle “leggi storiche” che la governano in modo rigoroso.

Bisogna, in altre parole, riconoscere che Gramsci è davvero un pensatore totalitario, antiliberale piuttosto che antidemocratico. Senza queste precauzioni il rischio del fraintendimento è sempre in agguato.

L’egemonia culturale

Tenendo conto che il panorama politico e culturale è molto cambiato rispetto ai tempi in cui egli scriveva, è quanto meno sorprendente notare il persistente successo della sua idea di “egemonia culturale”.

Sorprendente perché, a ben guardare, essa si è davvero realizzata e domina ancora nel mondo dei mass media (soprattutto italiani), e in quello universitario e della cultura in genere. È diventata, tale idea, componente fondamentale del mainstream politico che occupa quasi tutti gli spazi sui grandi giornali quotidiani, nei programmi televisivi e negli innumerevoli talk show che quotidianamente li affollano.

Si pensi, per esempio, a giornali un tempo prestigiosi quali Corriere della Sera e La Stampa. Lì direttori e giornalisti fanno a gara per dimostrare di far parte del suddetto mainstream. Senza nutrire rimorsi per il fatto di schierarsi a favore di un pensiero che più “unico” di così non potrebbe essere.

Nel mirino anche liberali e conservatori

Obiettivi diventano, allora, non solo i fascisti (spesso presunti tali), ma anche i liberali classici e l’intero comparto dei conservatori, accusati di essere complici di una “reazione” mai definita in termini chiari.

Ecco perché chi si dichiara antifascista, e al contempo anticomunista, viene subito tacciato di essere fascista sotto mentite spoglie, come se il comunismo realizzato non avesse causato sconquassi enormi nel corso degli ultimi due secoli.

È una situazione davvero incresciosa che impedisce, in Italia e altrove, lo sviluppo di un dibattito storico sereno, e attento a cogliere tutti gli elementi che hanno concorso a fare la storia.

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