Sorveglianza di massa e sistema di credito sociale, il modello cinese è già qui

Intellettuali e politici puntano a rendere accettabile anche da noi lo stato di sorveglianza e a farci rinunciare alla privacy. Primi esempi di credito sociale in Italia

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Il 21 giugno 2022 il New York Times ha pubblicato una video inchiesta di 14 minuti sullo stato della sorveglianza di massa e del controllo della popolazione in Cina. L’inchiesta, nata dallo studio di più di 100.000 documenti governativi rilasciati da ChinaFile, mostra un Paese incessantemente impegnato nella creazione di una incredibile rete di sorveglianza fisica e digitale, pervasiva e ineluttabile.

Sorveglianza e profilazione di massa

Il video mostra città piene zeppe di telecamere e microfoni che registrano dati biometrici, persone e voci; sensori che tracciano dispositivi e movimenti dei cittadini; sistemi di identità digitale e piattaforme che permettono allo Stato di profilare nel minimo dettaglio le persone e ciò che fanno, nel tentativo di colmare lo spazio tra fisico e digitale.

A spaventarmi, però, non sono le immagini delle telecamere e dei sensori sparsi in ogni angolo delle città. Non sono neanche i dati raccontati dalla voce narrante, come i quasi 3 miliardi di registrazioni che ogni anno vengono conservate in una sola delle 23 province della Cina.

Non è neanche la descrizione dei software usati dal governo per analizzare e profilare in tempo reale gli spostamenti, le relazioni sociali e i comportamenti dei cittadini a spaventarmi. E no, a farmi paura non sono neanche le immagini dei corpi di polizia che vanno di casa in casa per raccogliere dati genetici delle famiglie di intere città, per costruire database utili alle indagini di polizia.

Noi come loro

Ciò che mi terrorizza davvero sono le persone raffigurate nel video: persone normali, che passeggiano, siedono al bar, parlano con gli amici, fanno shopping. Persone normali, con vite normali. Come noi.

Non credo sia una considerazione banale riconoscere che anche i cinesi sono persone normali, come noi. L’accettazione e la rassegnazione di vivere in uno stato di sorveglianza perenne e sistematica non è tipica dei cinesi. Non è una questione culturale o genetica. Loro sono come noi. O meglio, noi siamo come loro – anche se facciamo fatica a capirlo.

Nel giro di pochi anni anche le nostre città si sono riempite di telecamere (anche con riconoscimento facciale) e sensori di ogni tipo. Che dire poi dei termoscanner che sono diventati la normalità per andare al lavoro o prendere un treno?

Con quale facilità abbiamo accolto l’idea – impensabile fino a poco tempo fa – di dover scansionare un QR code per lavorare, viaggiare, mangiare al ristorante o perfino visitare parenti in ospedale? Probabilmente, l’unica vera differenza tra noi e loro, è che loro hanno iniziato prima di noi.

La finestra di Overton e il ruolo degli intellettuali

Perché i cinesi accettano tutto questo? Perché noi accettiamo e accetteremo tutto questo?

È il fenomeno della finestra di Overton, quel concetto che descrive lo spettro di accettabilità delle politiche governative: dalla fase in cui alcune idee politiche sembrano inconcepibili, fino al momento in cui diventano accettabili, poi ragionevoli, e infine legalizzate.

Ma attenzione, non sono i politici a spostare la finestra di Overton, né sono i cittadini ad autoconvincersi della bontà di talune idee, come la sorveglianza di massa. Questo ruolo spetta agli intellettuali, storicamente la principale macchina di propaganda di ogni Stato.

Come mi è capitato recentemente di scrivere nella mia newsletter, Privacy Chronicles, è agli intellettuali che spetta il compito di convincere la massa della bontà dell’ideologia statalista del momento. Sono gli intellettuali che in cambio di visibilità, prestigio e un salario sicuro plasmano le opinioni delle masse; è il loro compito vitale.

Non importa che le idee promosse dagli intellettuali abbiano senso, così come non importa che le regole che nascono da quelle idee siano gradite. Tutto ciò che importa è che la regola sembri inevitabile e che l’interesse della collettività sia esaltato e ritenuto moralmente superiore a qualsiasi interesse individuale.

Ecco allora che diventa molto facile giustificare la sorveglianza di massa, la censura, il controllo delle persone e la manipolazione dei loro comportamenti. Chi mai non vorrebbe una città più sicura? Chi mai non vorrebbe meno criminalità? Chi mai oserebbe essere talmente egoista da porsi al di sopra degli interessi della collettività?

Il sistema di credito sociale

La Cina di Xi Jinping padroneggia benissimo l’arte della propaganda e della manipolazione dei comportamenti. Non è un caso che dal 2014, un anno dopo l’elezione di Xi, il governo abbia ripreso in mano il progetto del Social Credit System (SCS).

L’idea nasceva alla fine degli anni ’90, da un ricercatore chiamato Lin Junyue. Secondo Lin la chiave del buon funzionamento di una società e del mercato era la fiducia: le persone dovevano essere spronate ad essere affidabili, e per questo serviva agire sui comportamenti individuali.

Oggi il Social Credit System cinese è ancora frammentato (coesistono più sistemi diversi), ma non per questo meno effettivo nel plasmare il comportamento delle masse.

Il sistema non fa altro che accumulare dati di ogni tipo sulla vita e sull’identità delle persone e delle aziende, comprese informazioni sullo storico delle “buone azioni”, come donazioni di sangue, volontariato o qualsiasi altra azione ritenuta positiva dal governo. I dati vengono poi usati per separare buoni e cattivi.

Da una parte il bastone, dall’altra la carota. Come in un grande esperimento pavloviano, le persone imparano, quasi senza rendersene conto, a comportarsi in un certo modo. Diventano ingranaggi di un sistema che ha come unico scopo la realizzazione del “bene comune”. L’idea, prima inaccettabile, diventa ragionevole. La sorveglianza diventa uno strumento di pianificazione sociale.

In occidente non siamo diversi. L’ho detto prima e lo ripeto: noi siamo loro. La Cina è il nostro Spirito del Natale Futuro. I nostri intellettuali sono già da tempo impegnati nello studio meravigliato dei modelli di governance cinese, e non ne fanno mistero.

Ad esempio, un rapporto del World Economic Forum di ottobre 2021, intitolato “Global Future Council on Responsive Financial Systems. Three ways to accelerate a digital-led recovery”, dedica un intero capitolo allo studio del modello cinese per l’identità digitale e il digital banking, due elementi chiave di qualsiasi sistema di governance basato sulla sorveglianza di massa.

Primi esempi di modello cinese in Italia

Anche in Italia non mancano i politici ammaliati dal modello cinese, che erge gli interessi della collettività (cioè dello Stato) al di sopra dell’individuo.

Gli esempi sono numerosi: la Smart Control Room di Venezia, che permette all’amministrazione pubblica di monitorare in tempo reale gli spostamenti di cittadini e turisti; lo Smart Citizen Wallet di Roma e Bologna e la piattaforma Smart Ivrea – tutti esperimenti di social scoring.

O ancora – il progetto Argo di Torino, per potenziare la sorveglianza e le capacità di analisi in tempo reale delle forze dell’ordine, anche grazie all’intelligenza artificiale. Ma anche le 6.000 nuove telecamere proposte da Calenda lo scorso anno, durante la campagna per le elezioni nella Capitale, come se la volontà di sorvegliare la popolazione sia qualcosa di cui vantarsi.

E che dire poi del linguaggio politico che viene usato per descrivere questi sistemi di pianificazione sociale e sorveglianza?

L’assessore Bugani di Bologna descriveva così lo Smart Citizen Wallet: “un sistema premiante per i cittadini virtuosi. La stessa cosa venne detta per descrivere la piattaforma Smart Ivrea, per lo sviluppo di un “modello di Smart City con introduzione di principi dell’economia comportamentale e sistemi premiali per l’assunzione di comportamenti virtuosi del cittadino”.

La scelta degli aggettivi non è casuale. Il cittadino virtuoso è colui che accetta e segue le regole della collettività. Chi fuoriesce dagli standard, chi chiede il riconoscimento della propria individualità e diritto alla privacy, resta fuori e perde ogni dignità di cittadino. In parte, abbiamo già visto questi meccanismi col Green Pass.

Lo scudo della privacy

La privacy – il diritto di non subire ingerenze arbitrarie nella propria vita, e il diritto di rivelare se stessi soltanto a chi vogliamo – è indubbiamente il principale scudo contro l’ideologia collettivista e statalista che porta inevitabilmente alla sorveglianza e al controllo di massa della popolazione.

Ecco perché gli intellettuali e i politici devono a tutti i costi convincerci che la privacy sia un inutile intralcio all’efficienza dell’opera statale e al benessere della collettività. Ecco perché piano piano sta diventando sempre più accettabile rendersi completamente trasparenti verso lo Stato: dimostrare di non avere nulla da nascondere è un comportamento da cittadini virtuosi.

Ma i cittadini virtuosi, al tempo del modello cinese, non sono altro che ingranaggi di uno Stato Etico che persegue la massima omologazione del comportamento umano; inconsapevoli vittime sacrificali che tradiscono ciò che ci rende liberi: la capacità di autodeterminazione e il diritto di rivendicare la nostra individualità, al di fuori dell’ingerenza arbitraria di sovrani, presidenti e tecnocrati in cerca di gloria.

* Matteo Navacci è autore di Privacy Chronicles

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