Ecco perché è scomodo commemorare Renzo De Felice: il fascismo “irresuscitabile” e costola del comunismo

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Il fascismo storico è “irresuscitabile” – Nel silenzio assordante di questi ultimi giorni è scivolato via, senza che nessuno se ne accorgesse, il venticinquesimo anniversario della scomparsa del professor Renzo De Felice (8 aprile 1929 – 25 maggio 1996).

A parte sparute eccezioni, nessuno ne ha parlato, nessuno lo ha commemorato pubblicamente, nessuno ha proferito il suo nome dedicandogli anche un minimo spazio, come se non si trattasse del più importante storico del fascismo in Italia.

E invece moltissimi, e in particolare tutti quelli che non hanno una patria ideologica che si riconosca nel fascismo o nel comunismo, sono debitori al professore reatino di una inequivocabile riconoscenza per aver affrontato criticamente un fenomeno storico estremamente complesso (il fascismo appunto), attraverso un’analisi storica che mirava ad essere quanto più indipendente dai condizionamenti ideologici, attingendo alle fonti, ai documenti, fequentando gli archivi, come ogni storico dovrebbe fare: per questo è diventato “scomodo” ed è stato messo all’indice, dimostrando che anche in Italia il “passato che non vuole passare” è più tiranno che mai.

Professore universitario presso l’Università la Sapienza di Roma insegnava “Storia dei partiti politici”, e la sua bibliografia vede all’attivo decine di articoli, e, tra i tanti, due libri tascabili, “Le interpretazioni del Fascismo” (Laterza, 1989) e “Intervista sul Fascismo” (Laterza, 1985) per non parlare di un’opera monumentale in otto volumi edita da Einaudi sulla biografia di Mussolini.

Contrariamente a tanti testi di professori universitari di oggi (anche dell’Università di Venezia che fotografano certi libri a testa in giù), accostando i volumi di De Felice su Mussolini, dopo le prime righe di ogni volume, di ogni capitolo, si respira la densità delle argomentazioni, l’immensa ricchezza delle fonti, la miniera dei riferimenti storiografici, la lunga lista dei riferimenti bibliografici, la descrizione degli eventi, corredati da documenti provenienti dagli archivi. Un lavoro monumentale, che non poteva che dar fastidio ad alcune interpretazioni del fascismo, e tra queste quella del Partito d’Azione, oggi prevalente. Quella per intenderci che vuole il fascismo iscritto nella natura degli italiani e che ogni tanto fa capolino nel corso della storia e necessita, guarda caso, di una forza politica elitaria e “sana” (o sedicente tale) che sia sempre in guardia e lo sopprima appena si manifesta. Le comodità della storia.

Ma partiamo dall’“Intervista sul Fascismo”, libro che ancora si può trovare in libreria, per capire da dove ha origine il suo lavoro di storico. Qui De Felice afferma che contrariamente a Croce, che non voleva raccontare la storia del fascismo perchè lo disgustava, egli invece era “convinto che fosse arrivato il momento di tentare un discorso più propriamente storico, meno politico, [cosa] che certo, non si poteva chiedere a chi il fascismo lo aveva vissuto, combattendolo, essendo antifascista, oppure essendone stato solo spettatore. (…)” E continua: “Insomma ero convinto che questa storia andava fatta (…) e che ciò fosse il compito di nuove generazione di storici, di quelli cioè che non avevano vissuto il fascismo in prima persona”.

De Felice era convinto che un approccio critico, scientifico, basato sulle fonti potesse essere la strada giusta e infatti, poco più avanti, afferma: “il fascismo andava rivisitato, ristudiato, con maggior distacco con maggior serenità critica possibile”.

Ma nella stessa pagina dell’Intervista aggiunge un giudizio storico che nessuna delle guide autorizzate del mainstream di oggi osa ripetere, una affermazione che contrasta con l’interpretazione azionista e con la “vulgata” – come egli amava chiamarla – della “cultura” odierna: “Il fascismo, che io chiamo fascismo storico – come si è attuato tra il 1919 e il 1945 – è morto, è irresuscitabile”. E aggiunge: “È una pagina chiusa e proprio per questo è possibile studiarlo storicamente, con un metodo ed una mentalità storici.”

In questi ultimi anni abbiamo assistito a raffigurazioni improvvisate di leader politici appesi a testa in giù, a professori universitari che si sono espressi con termini indegni verso rappresentanti del Parlamento, tanto da suscitare telefonate di solidarietà del presidente della Repubblica; o di piazze di cittadini che si sono sentiti definire “marea nera”, avendo come sola colpa quella di non condividere le opinioni dell’establishment.

La questione sarebbe semplice: l’”argomento è chiuso”, dice De Felice. Eppure chiuderlo dispiace a molti, perché è troppo facile autoincaricarsi di difendere la “democrazia” in pericolo e definirsi forza sana per combattere i propri avversari politici, con il supporto poi di un mainstream sempre più potente, sempre più debordante, sempre più invasivo della coscienza degli italiani, sempre più determinante la mentalità comune e la cosiddetta cultura italiana, un mainstream sempre pronto a squalificare lavori di studiosi come il professore reatino con l’attacco diretto – come accadeva in passato – o con il silenzio, come accade oggi. Gli studi poderosi e quindi inattaccabili criticamente e scientificamente, devono essere combattuti con i mezzi della censura o della squalifica sociale.

Il fascismo una “corrente” del comunismo? – Ma c’è di più. Come abbiamo detto gli studi di De Felice portano a conclusioni che devono rimanere nel cassetto. Un caso su tutti, è quello che racconta dello smantellamento dell’idea che il fascismo nasca come forza anti-comunista, in quanto oggi è chiaro che culturalmente è una forza la cui origine si situa all’interno dell’alveo marxista. Cosa significa questo? Che Gentile (ideologo del fascismo) e Gramsci (ideologo del comunismo) affondano le loro radici culturali nella stessa ideologia rivoluzionaria di stampo marxista, che ha dato origine ad entrambe le loro filosofie. Non è incredibile? Ma andiamo con ordine.

Il lavoro di De Felice fu influenzato, dalle scoperte e dagli studi di colleghi come Augusto Del Noce, il cui infusso è centrale e per descriverlo serve fare un piccolo prologo.

Anche Del Noce insegna a Roma all’Università La Sapienza. Tra le sue opere più importanti pubblicate in Italia c’è “Il problema dell’ateismo” (Il Mulino, 1964) “Cartesio” (Il Mulino, 1965) “L’epoca della secolarizzazione” (Giuffrè, 1970) e “Il suicidio della rivoluzione” (Rusconi, 1974): sono opere poderose, dalla logica ferrea e dal sapere filosofico acuto e profondo, leggerle “a freddo” risulta difficile se non si conosce la filosofia, e oggi in pochi la conoscono.

Del Noce è un filosofo e come tutti i filosofi ripercorre indagando le origini culturali di fenomeni politici che sono collegati a specifici sistemi filosofici. Non fa eccezione il suo libro “Il suicidio della rivoluzione”, e nell’introduzione afferma (pag. 15): “non mi era ancora chiaro a quel tempo il rapporto del pensiero gramsciano con l’attualismo [di Gentile]”.

Ne “Il suicidio della rivoluzione” Del Noce affronta il rapporto tra Gentile e Gramsci in un capitolo ad essi dedicato (pag. 123 – 199) ed in particolare su Gentile afferma, che la data di nascita del fascismo può essere fatta risalire al 1899, quando viene pubblicato un libro dal titolo “La filosofia di Marx” ad opera di un giovane professore universitario, Giovanni Gentile appunto. Ne “Il suicidio della rivoluzione” a pag. 229, infatti arriva a dire: “Nel 1960 scrissi, e credo di esser stato il primo a dirlo, che l’atto di nascita del fascismo è nel 1899, anno della pubblicazione della Filosofia di Marx” (…) “e che è, nel più rigoroso dei sensi, il prologo di quella cultura che ha prevalso in Italia nel nostro secolo, o che continua a prevalere se si pensa a Gramsci” [sic]

Abbiamo letto bene? Ma come, l’atto di nascita del fascismo si fa datare dalla pubblicazione di un libro che rilegge e approfondisce in ottica neo-hegeliana Marx? Ad opera di Gentile, quello che spesso viene additato come l’”ideologo del fascismo”?

Scrive ancora Del Noce: nel libro di Gentile, si trova una nuova figura della critica marxista, quella dell’inveramento, una figura che inverava Marx “in una forma superiore, attraverso il passaggio dalla versione oggettivistica alla soggettivistica della filosofia della prassi”.

Che vuol dire tutto questo? Vuol dire che sintetizzando e semplificando molto, il percorso culturale di Gentile che parte da Croce e dal neo-hegelismo per arrivare a Marx, a Gioberti e infine all’attualismo, è lo stesso percorso che compie Gramsci per giungere al marxismo rivoluzionario, il quale – anch’egli – rilegge Marx in ottica neo-idealista. Gramsci, come documenta Del Noce, si accorgerà di aver “copiato” Gentile e si arrabbierà successivamente, quando lo scoprirà (cfr. capitolo su Gramsci “Gramsci o Il suicidio della rivoluzione” pag. 253 – 343).

Per arrivare al punto, possiamo dire che, il fascismo, non è più da considerarsi una forza politica che nasce in chiave “anti-comunista” – come è stato per il nazismo –, ma nasce invece come forza rivoluzionaria, divenendo paradossalmente una “corrente” del comunismo, in quanto ne condivide la matrice culturale di origine, l’incubatrice attivista-rivoluzionaria in senso soggettivo, ovvero l’interpretazione, la lettura di Marx in chiave neo-idealistica, quella di “Marx dopo Hegel”. Per riprendere un flash de “Il suicidio della rivoluzione” (pag. 123) possiamo leggere: “La filosofia di Marx (il libro di Gentile ndr), è uno dei convergenti punti di partenza dell’attualismo”.

Gentile e Gramsci affondano le loro radici culturali nella “non filosofia di Marx”, da cui entrambi derivano le proprie posizioni, superando l’incapacità crociana di riconoscere la portata speculativa del pensiero europeo che implica l’analisi di “Marx dopo Hegel”. Entrambi si interrogano “se tutto il marxismo non costituisca il passaggio da un concetto di filosofia come comprensione a un concetto di filosofia come rivoluzione” (Del Noce, “La Non Filosofia di Marx”, pag. 238-239).

Tradotto in soldoni: scavi scavi dentro la provenienza culturale di Gentile (fascismo) trovi Marx, scavi scavi nella provenienza culturale di Gramsci (comunismo) e trovi lo stesso Marx: la “marea nera” a parte quando non occupa titoli a nove colonne di certi giornali è un concetto contraddittorio. Tra marea nera e marea rossa, culturalmente parlando, essenzialmente non ci sono differenze.

In Europa ci sono studi che raccontano questo paradosso, ad esempio quelli di Eric Voeglin riportati nei suoi libri “Il mito del mondo nuovo” (Rusconi 1990) e “La nuova scienza politica”, (Borla 1968). Egli adottando le categorie gnostiche giunge alle medesime conclusioni: i totalitarismi in Europa hanno identiche strutture, differiscono tra loro “esteriormente”, mentre nei meccanismi “interni” sono analoghi, si somigliano talmente tanto da poter essere ricondotti ad un’unico pattern, l’idea di rivoluzione marxista declinata in vari modi.

Mussolini e il concetto marxista di “rivoluzione” – La scoperta di Del Noce su Gentile folgorò De Felice proprio mentre si accingeva a pubblicare il primo volume della sua monumentale biografia su Mussolini.

Le argomentazioni di Del Noce lo colpirono così tanto che decise di cambiare il titolo del suo primo volume su Mussolini: inizialmente il volume doveva chiamarsi “Mussolini, il Socialista”, ma lo volle modificare in “Mussolini, il Rivoluzionario”, tanto l’analisi di Del Noce aveva colto nel segno.

Nell’Introduzione al volume De Felice aveva intenzione di spiegare le ragioni profonde di questa scelta e a chi fosse debitore per la scoperta che cambiava la prospettiva del suo lavoro, ma fu censurato (già allora) dal suo maestro storico Delio Cantimori (passato nel frattempo dal fascismo al comunismo), il quale minacciava una stroncatura dell’opera nella sua Prefazione, e per questo De Felice fu costretto a parlare di Del Noce molto superficialmente.

Ci troviamo quindi di fronte a figure possenti, che hanno fatto studi straordinari in grado di sconfessare stereotipi radicati e clichè diffusi ad arte, e che per questo sono sempre stati relegati ai margini della cultura di massa: ad esempio tutti quelli che oggi si definiscono Antifa non hanno minimamente idea del fatto che il fascismo sia un fenomeno storico “irresuscitabile”. Se tornassimo agli ‘40 non sanno quanto la cultura che pensano di combattere sia intimamente legata a quella che suppongono di difendere, mediante la lettura neoidealistica di Marx.

In tanti si sono domandati se il fascismo sia stato un errore contro la cultura (ipotesi crociana), oppure non sia stato piuttosto un errore della cultura, di quella cultura che si è “abbandonata” al concetto di Rivoluzione senza argini e senza freni: gli studi di Del Noce avvalorano la seconda.

Da storico De Felice nell’“Intervista sul Fascismo” esprimerà tutta la sua preoccupazione per questa comunanza di mentalità tra culture apparentemente opposte:

“Il fascismo ha fatto infiniti danni, ma uno dei danni più grossi che ha fatto è stato quello di lasciare in eredità una mentalità fascista ai non fascisti, agli antifascisti, alle generazioni successive anche più decisamente antifasciste (a parole e nella loro più ferma e sincera convinzione). Una mentalità fascista che va secondo me combattuta in tutti i modi perché pericolosissima. Una mentalità di intolleranza, di sopraffazione ideologica, di squalificazione dell’avversario per distruggerlo”.

Non sembra di leggere le cronache recenti di quanto gruppi di cittadini hanno dovuto subire durante le manifestazioni contro il Ddl Zan?

Pasolini e il “fascismo arcaico” – Fin qui abbiamo citato due autori che (ahimè) tante volte sono stati attaccati e denigrati dalla cultura dominante, tacciati di essere “fascisti”, tanto da diventare “sospetti” e pertanto inattendibili o “impresentabili”: dove può giungere la gogna mediatica reiterata? La stessa Wikipedia oggi avanza molti dubbi sul “revisionismo” di De Felice ad opera dei suoi detrattori, ricordatevi di questo quando vi chiederanno una donazione.

Eppure, vogliamo chiudere citando un altro grande intellettuale italiano che in questo contesto può considerarsi inattaccabile in quanto dice di sé: “io che sono marxista”, tanto per riaddrizzare i tanti nasi che si sono storti fino adesso, ovvero Pier Paolo Pasolini.

Negli “Scritti Corsari” (Garzanti, 1975) a pagina 232 Pasolini scrive: “Esiste oggi una forma di antifascismo archelogico che è poi un buon prestesto per una patente di antifascismo reale”.

Con una sola frase ha descritto l’interpretazione azionista e il suo falso allarmismo, solo per far riferimento ad alcuni interventi di Eco, Mieli, Augias, Molinari ecc. Ma continua: “Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto e obbiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più”. Quello che Pasolini chiama “fascismo arcaico” è il “fascismo storico” di De Felice.

E continua specificando:

“Ecco perchè buona parte dell’antifascismo di oggi, di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché da battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno.”

E aggiunge:

“Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato la società dei consumi. (…) Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e proprio fascismo.”

Poi continua riferendosi ai giovani di allora: il fascismo arcaico

“li aveva resi dei pagliacci, dei servi e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio, nel fondo dell’anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato loro l’anima.” (Scritti Corsari, pag. 233)

Gli intellettuali organici di oggi lo sanno bene, ma fanno leva sull’ignoranza dei moltissimi e sono per questo in malafede. Oggi per squalificare forze politiche democraticamente elette, gli intellettuali di regime continuano ad usare lo spauracchio del fascismo, quando sono essi invece i “cani da guardia” di un “nuovo fascismo”, quello della società dei consumi e del mainstream dominante, come diceva Pasolini; per questo stanno bene attenti che De Felice non sia commemorato.

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