Non è la prima crisi delle democrazie, ma stavolta è diversa

Non è la prima volta, nel corso della loro storia, che le democrazie liberali affrontano una crisi d’identità. Ma Kiev non è stata abbandonata come la Cecoslovacchia

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Il politologo ispano-americano Juan J. Linz, in un articolo del 1975 intitolato “Regimi totalitari e autoritari”, scrisse che gli Stati democratici e pluralisti rappresentavano un’eccezione nel novero dei sistemi politici mondiali. La forma di governo più diffusa era, infatti, quella dello Stato autoritario, a cui, secondo Linz, apparteneva non solo il presente ma anche l’immediato futuro.

Quando il celebre politologo avanzava la sua tesi, le società pluralistiche erano ancora isole nel “mare” delle dittature di vario genere ma, alla fine del XX secolo, gli equilibri di potere cominciarono a spostarsi a favore delle “società aperte”. I regimi autoritari e post-totalitari dell’Europa orientale, dell’America Latina e del Sud Africa crollarono in rapida successione, aprendo le porte a democrazie più o meno funzionanti.

Crisi di autostima

Il trionfo dell’idea democratica fu, però, di breve durata. L’euforia suscitata ovunque dal crollo delle dittature evaporò rapidamente a causa dei difficili processi di trasformazione.

A distanza di anni è possibile affermare che le aspettative sorte al momento della “svolta” sono state soddisfatte solo in parte. In molti Paesi in transizione si è verificata un’involuzione autoritaria, con la conseguente oppressione della società civile e lo smantellamento dello Stato di diritto da poco sviluppato.

Anche le democrazie stabili e consolidate hanno abbandonato il trionfalismo del 1989. Una disillusione a cui hanno contribuito in modo determinante la guerra civile nell’ex Jugoslavia e gli attentati terroristici dell’11 settembre 2001. Nondimeno, la crisi finanziaria globale iniziata nel 2007 ha colpito in modo duro sia le “nuove” democrazie che quelle di lungo corso, mandando in frantumi la loro autostima e facendone emergere con prepotenza le contraddizioni interne, soprattutto socio-economiche. Poi è arrivata l’annessione della Crimea da parte della Russia di Putin, un’ulteriore sfida per le “società aperte” dell’Oriente e dell’Occidente.

La crisi d’identità del ‘900

Non è la prima volta, nel corso della storia, che le democrazie liberali affrontano una profonda crisi d’identità connessa all’emergere di potenze autoritarie e totalitarie decise a “fare i conti” con la civiltà occidentale. L’imbarazzo con cui molti gruppi politici, negli anni Trenta, sia in Germania che in altri Paesi europei, reagirono all’ascesa del regime nazista e ai Processi di Mosca illustra, abbastanza chiaramente, quanto l’attuale crisi non sia affatto un fenomeno nuovo.

Un’indicazione del disorientamento delle democrazie occidentali dell’epoca la si rileva nella loro riluttanza a frenare la dittatura nazista, alla quale venne concesso di commettere impunemente un atto aggressivo dopo l’altro. Come ricorda Eric Voegelin, quando l’Austria venne occupata dalla Germania, in lui montò una rabbia estrema per “l’idiozia criminale” delle democrazie occidentali che restarono a guardare senza muovere un dito. Nelle sue “Riflessioni autobiografiche” scrive:

L’occupazione tedesca dell’Austria avrebbe creato una situazione strategica che avrebbe reso possibile la conquista della Cecoslovacchia e quest’ultima avrebbe consolidato a sua volta una posizione centroeuropea, che avrebbe reso potenzialmente vittoriosa una guerra con le potenze occidentali. Fu per me una grande sorpresa che queste stesse potenze non facessero niente.

Lo spirito di Monaco

Il culmine della politica di pacificazione fu l’accordo di Monaco del settembre 1938, ossia il tradimento, da parte delle potenze occidentali, della Cecoslovacchia – il loro alleato più fedele nell’Europa centro-orientale, unica democrazia compiuta della regione. Subito dopo l’accordo di Monaco, un altro grande intellettuale di lingua tedesca, Thomas Mann, si scagliò contro la distruzione deliberata della “fortezza democratica in Oriente”.

Gli anni 1933-38 possono essere descritti come un periodo di fallimenti senza precedenti dei garanti dell’ordine post-bellico di Versailles (sia le potenze occidentali che la Polonia). L’errata convinzione che gli obiettivi politici di Hitler fossero limitati e che il Terzo Reich fosse un baluardo contro il pericolo comunista, li rese supini alla volontà del Führer.

Oggi, non troppo diversamente, alcuni vorrebbero lasciare mano libera alla Russia in Ucraina per non perdere quello che, erroneamente, considerano un alleato anti-cinese.

A metà degli anni ’30, quasi al culmine della politica dell’appeasement, il biografo socialdemocratico di Hitler, Konrad Heiden, cercò di confutare queste illusioni. Secondo lui, il Führer non era una persona ragionevole con cui potersi accordare. Il gabinetto di Varsavia fu uno dei primi governi europei a rendersi conto di questo fatto. La leadership polacca prese così le distanze dall’illusione, abbracciata negli anni 1934-38, circa la possibilità di raggiungere un accordo con la Germania sulla base dell’anticomunismo.

Il 23 agosto 1939, la trappola geopolitica in cui la Polonia si trovava da secoli scattò nuovamente: i suoi due vicini totalitari – il Terzo Reich e l’Unione Sovietica stalinista – misero temporaneamente da parte le loro differenze ideologiche e formarono un’alleanza contro le democrazie occidentali.

Solo lo scioglimento del patto totalitario, spezzato in seguito all’invasione dell’Unione Sovietica da parte di Hitler il 22 giugno 1941, avrebbe alleviato la situazione, estremamente precaria, dell’Occidente. Tuttavia, sconfiggere Hitler non sarebbe stato più possibile senza Stalin. Il dilemma delle democrazie dell’epoca fu riassunto dallo storico e diplomatico americano George F. Kennan:

L’Occidente si era indebolito a tal punto che non era più in grado di sconfiggere uno dei due avversari totalitari senza l’aiuto dell’altro. L’Occidente non era più in grado di ottenere una vittoria moralmente impeccabile.

L’annessione della Crimea

Dopo l’annessione della Crimea da parte di Putin nel marzo 2014, alcuni autori hanno ripetutamente tracciato analogie tra il comportamento delle potenze occidentali durante la crisi dei Sudeti del 1938 e quello dell’Occidente durante la crisi ucraina del 2014. L’ex consigliere economico del presidente russo, Andrei Illarionov, ha confrontato l’accordo di Ginevra raggiunto il 17 aprile 2014 per allentare la situazione in Ucraina con l’accordo di Monaco del settembre 1938.

Tuttavia, tali confronti sono infondati. Con l’Accordo di Monaco i principali politici occidentali legittimarono ufficialmente l’annessione dei Sudeti al Terzo Reich e, di fatto, premiarono l’aggressore. A Ginevra non è accaduto niente di simile. L’annessione della Crimea da parte della Federazione Russa è stata e continua a essere vista per quello che è: una violazione del diritto internazionale. Il leader del Cremlino riteneva che l’Occidente non sarebbe stato in grado di reagire con forza alla sua prepotenza.

Il ritiro Usa

Non va dimenticato che l’annessione della Crimea è avvenuta durante la strategia di ritiro dell’amministrazione Obama, che alcuni analisti hanno considerato rischiosa e mal concepita perché ha lasciato un pericoloso vuoto di potere in molte regioni del mondo. Anche a Mosca, gli Stati Uniti, all’epoca, erano considerati deboli in termini di leadership, e questa valutazione è stata sicuramente uno dei presupposti più importanti per avviare l’avventura in Crimea.

Nel 2014, però, Putin ha abbandonato, almeno temporaneamente, il cosiddetto “progetto Nuova Russia”, una decisione legata alla sottovalutazione della reazione transatlantica. Otto anni dopo, il 24 febbraio 2022, il Cremlino ha invaso tutta l’Ucraina, un atto distruttivo e autodistruttivo preceduto, nuovamente, da una errata valutazione della forza dell’Occidente e dello stato di salute della Nato. A differenza della Cecoslovacchia nel 1938, l’Ucraina non è stata abbandonata dal mondo democratico.

Il tallone d’Achille dell’ordine europeo emerso nel 1919 consisteva nel fatto che gli Stati Uniti, già all’epoca considerati la democrazia più potente del mondo, si rifiutarono di garantire il suddetto ordine. L’America attuale, nonostante i suoi evidenti difetti e tentennamenti, non sembra disposta a capitolare di fronte ai nuovi nemici della libertà.

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